Diabolik 2, uno spettacolare James Bond all’italiana
Diabolik - Ginko all'attacco! è un film è fatto molto bene, con una produzione e una regia senza sbavature
Preparatevi, tirate fuori quella scatola che conservate in soffitta, apritela e fate uscire la sospensione dell’incredulità che i vostri nonni avevano con tanta delicatezza avvolta in un panno di lino e risposta. È tornato Diabolik, e con lui un modo di intendere l’avventura che richiede un piccolo sforzo. Ma solo all’inizio, poi è tutta gioia.
Diabolik – Ginko all’attacco!, il secondo di tre film dei Manetti Bros. dedicati all’antieroe delle sorelle Giussani, è arrivato. Il terzo è stato girato contemporaneamente al secondo, quindi si tratta solo di post-produrlo e aspettare il momento giusto per farlo uscire, probabilmente tra un anno. Intanto, questo secondo è un film divertente. Uno spettacolo. A condizione che accettiate un patto efferato con la mente di Mario Gomboli, dei Manetti Bros. e di Michelangelo La Neve, fumettista e sceneggiatore non ché sodale dei due fratelli registi, purtroppo scomparso all’inizio dell’anno (e a cui questo film è dedicato).
La trama così come la raccontano i produttori nei materiali di lancio: «Un piano apparentemente perfetto per Diabolik (Giacomo Gianniotti) ed Eva Kant (Miriam Leone). Ma non sanno che dietro questo colpo si nasconde una trappola dell’astuto ispettore Ginko (Valerio Mastrandrea), che mette a dura prova il loro legame. Tradita dal Re del Terrore, Eva decide di vendicarsi, proponendo all’ispettore di collaborare alla cattura di Diabolik. Una decisione difficile per Ginko che deve anche affrontare l’arrivo di Altea, duchessa di Vallenberg (Monica Bellucci)».
Diabolik – Ginko all’attacco! è fatto molto bene, con una produzione e una regia senza sbavature. Soprattutto, la storia non ha una smagliatura o un inciampo narrativo che sia uno, sconfiggendo il luogo comune che in Italia non siamo più in grado di scrivere film d’avventura senza incappare in problemi di continuity da primo anno di scuola di sceneggiatura.
Le ambientazioni italiane – perché Diabolik è un eroe che si può collocare senza problemi nei nostri anni Sessanta – sono divertenti e gustose, forse un filo meno sontuose del primo film (che pure mi era piaciuto molto). Gli attori vanno benissimo: Giacomo Gianniotti nel ruolo del nuovo Diabolik (ha sostituito Luca Marinelli) si vede poco “nei suoi panni” ma porta quella solidità fisica e immobilità statuaria che rendono bene il profilo del Re del Terrore. Il suo è un Diabolik più cattivo (ammazza un po’ di gente in modo decisamente gratuito) e meno combattuto di quello di Marinelli, più in linea con la storia come Marinelli era con la prima avventura.
Miriam Leone mantiene un ruolo forte anche se non più centrale. Continua a essere perfetta, con l’eccezione che la sua forma fisica è meno “da Eva Kant” rispetto al primo film. In una produzione americana l’avrebbero chiusa in palestra per qualche mese o avrebbero usato dei body doubler per le scene che richiedono più agilità. Non è una critica solo a lei, è un tratto comune un po’ a tutti gli attori italiani: anche Valerio Mastrandrea saltella sugli scogli e corre un po’ affaticato come ci si aspetterebbe da un signore di mezza età e non da un attore.
Questa volta l‘interpretazione di Mastrandrea è più misurata: sullo schermo c’è meno l’attore e più Ginko. I poliziotti sono ancora più numerosi e gustosi, con le loro improbabili divise-camicione, così come i personaggi del lungo prologo (ballerine e spettatori di teatro inclusi). E va bene anche Monica Bellucci, che forse è quella destinata ad attirare più critiche per la sua interpretazione di Altea di Vallenberg. Il personaggio delle sorelle Giussani in originale era meno esotico (mi riferisco all’accento francese della Bellucci) e decisamente meno “morbido” di come lo interpreta l’attrice umbra, nonché fisicamente diverso, perché modellato sull’attrice francese Capucine.
Nella recensione al primo film sottolineavo che era lento ma riuscito: «Questo è un film per hipster e per chi, tra i Millennial, vuol vivere l’emozione di un altro tempo». E aggiungevo: «Tutto combacia e ci fa piombare negli anni Sessanta di questa finta città continentale della Francia del sud, dentro lo stato e la città di Clerville, che non è altro che una fantastica Milano, forse nella sua prima interpretazione fumettistica». Diabolik – Ginko all’attacco! – girato tra Milano, Bologna, Trieste e dintorni di Roma – è forse qualcosa di più. Vedendone uno si prendono le misure all’intenzione degli autori. Ma vedendone due si può cominciare a fare una media e a definire una traiettoria, una direzione.
Ho capito che il significato di Diabolik cinematografico lo spiegano molto serenamente i Manetti Bros. proprio all’inizio del film, in una scena un po’ kitsch e forse anche genuinamente camp in cui vediamo un presentatore magro e con i baffetti, in un teatro pieno di un pubblico che fuma e smania, tutto anni Sessanta con le pruderie e le facce da italiani di una volta. In quella scena ci sono le ballerine con indosso i gioielli che “esplodono” in un balletto sincronizzato con i titoli di testa e la canzone principale del film, cantata da Diodato. E questo dimostra una sola cosa: il film dei Manetti Bros. è un clamoroso, fantastico, spettacolare “James Bond all’italiana”.
Intendiamoci: Diabolik non c’entra niente con James Bond, questo episodio per di più è un poliziesco puro (è visto dalla prospettiva di Ginko, e Mastrandrea ha capito il suo personaggio e regge con disinvoltura la maggior parte del film) e di certo non un film di spionaggio. Gianniotti (per quanto abbia fatto Grey’s Anatomy) non è neanche lontanamente Sean Connery, e la coppia Leone-Bellucci non gioca nel campionato delle Bond girl, anche se la seconda lo è stata, nell’epoca di Daniel Craig e con la regia di Sam Mendes.
Invece, c’è un altro elemento che accomuna il James Bond del primo film originale degli anni Sessanta e questo film di Diabolik. Diabolik – Ginko all’attacco! è un film felice e ingenuo, che mette in scena uno spettacolo colorato e curato, con una produzione non ricca ma decisamente benestante, che sa usare bene le armi a sua disposizione. Le meravigliose auto d’epoca e le meravigliose facce italiane delle comparse, le ambientazioni d’interni figlie del boom del design, gli scorci di una Clerville-Milano con architettura razionalista e semivuota che non c’è più.
È un film che nel complesso sorride felice mentre racconta la sua storia poliziesca, a tinte forti ma distaccate, con azione (ma un po’ meccanica), amore (ma sempre casto), passione (ma che non fa sanguinare) e sentimenti anche complessi da gestire. E soprattutto siamo ben lontani dal crudo realismo della narrazione e della recitazione “verista” di oggi. Nei film di Diabolik non c’è il puzzo della vita. C’è invece un profumo inebriante che, se si sta al gioco, fa sognare sul serio. Esattamente come fece 60 anni fa il fumetto “maledetto” per le edicole, che veniva censurato perché troppo dark e violento. Ed esattamente come fece sul grande schermo Sean Connery sempre 60 anni fa con il primo film di 007: Dr. No – Licenza di uccidere.
Ripeto, sono due film completamente diversi, lontani mille miglia tra loro sotto tutti i punti di vista. Però Sean Connery che faceva James Bond era una delle cose belle di quegli anni. Così come i Manetti Bros. che fanno Diabolik oggi. E se voi tirate fuori quella scatola che conservate in soffitta, l’aprite e fate uscire la sospensione dell’incredulità che i vostri nonni avevano con tanta delicatezza avvolta in un panno di lino e risposta, troverete quello stesso profumo. C’è un pezzetto di sogno, non di vita, che vale la pena afferrare anche oggi, in questo momento così complicato e privo di prospettive e traiettorie possibili. Lo sapevano Angela e Luciana Giussani quando scrivevano le storie di Diabolik per quell’Italia, lo sanno bene Mario Gomboli e i Manetti Bros. oggi mentre preparano i loro film.
Quella di Diabolik – Ginko all’attacco! è una produzione ben fatta, ambiziosa ma non fuori scala, e soprattutto ben distribuita. Segue la filosofia del maratoneta: fare il meglio che si può con quel che si ha a disposizione. Se preso con la dovuta umiltà e sospensione dell’incredulità, questo film di Diabolik è tanta roba e non delude affatto. Fidatevi, e non ascoltate quelli che si vergognano di ciò che siamo veramente. Vi divertirete per un’ora e cinquanta e tra dieci anni vi sentirete anche dire che questo film era un capolavoro. Magari da quelli stessi che oggi lo denigrano e lo sfottono.
Gli articoli di questa serie: i 60 anni di Diabolik, la recensione del documentario del 2019 e del film dei Manetti Bros del 2021 e [del 2022]](/diabolik-film-2022/)
(17 novembre 2022)