Anonimo Millemetri Japan LE, la recensione – Parte seconda di due
Alla fine un orologio, se non ha strane complicazioni, serve a indicarti l’ora precisa al secondo e al massimo la data. O no?
Ho passato mesi con al polso un orologio molto particolare che ho scelto di recensire per una varietà piuttosto ampia di motivi (spiegati nel dettaglio nella prima parte di questa storia) ma che possiamo riassumere così: volevo capire di più e meglio cos’è una recensione uscendo dalla mia “comfort zone”, cioè recensendo un oggetto di cui non sono esperto professionalmente, con l’obiettivo di capire meglio il mio lavoro che è oltretutto messo in discussione da un lato dal peso preponderante della pubblicità (mai sentito parlare di “marchette” giornalistiche?) e dall’altra dalla presenza sempre più numerosa delle “recensioni” e dei “consigli per gli acquisti” degli utenti sui forum e nelle bacheche dei negozi di e-commerce.
Ho imparato che questo mestiere si fa documentandosi e studiando, ricercando. E uscire dalla mia "zona di comfort" è stata un’ottima occasione per farlo.
Cosa ho imparato? Vediamo. La prima cosa che ho cercato sono stati modelli e istruzioni su come si scrive una recensione. Non solo nelle scuole di giornalismo italiane ma anche in quelle di lingua inglese, francese o spagnola (altre lingue non le conosco, sorry) in realtà il tema non viene affrontato. È stata una lezione singolare, che non mi apettavo. Il tema non viene affrontato. Da un lato perché appartiene al mondo del “giornalismo di settore”, dall’altro perché sembra quasi che sporcarsi le mani con la pratica di questo tipo di informazione non sia sexy abbastanza.
Voglio dire: ci sono manuali pieni di dotte spiegazioni su come si scrive un pezzo di cronaca bianca o nera, un editoriale, un commento, un reportage; ma quando poi andiamo a vedere la pratica molto umile di una recensione di prodotto, ecco che invece questa si scopre essere una cosa lasciata alle “buone prassi” del settore. Chissà quali sono, però.
Singolarmente, invece, di manuali di istruzioni e guide su come scrivere una buona recensione ce ne sono parecchi su Internet. Sono dedicati alla nuova covata di “utenti-recensori professionali”, gente che per i motivi più vari si trova a scrivere tante recensioni. C’è un volume enorme di persone che scrive sui siti con lo scopo di recensire le cose: mi riferisco a libri, dischi, apparecchi hi-tech e tutto quel che generalmente è possibile trovare con una ricerca non troppo complessa.
I recensori di Internet a una mia prima e superficiale ricognizione sono divisibili in due grandi categorie: quelli le cui recensioni non sono fatte bene (fatte troppo male per avere senso, o troppo incomplete, oppure scritte per sabotare un prodotto o magari per esaltarlo), e quelli con le recensioni fatte bene. A loro volta quelli in questo secondo gruppo si dividono tra quelli con delle recensioni narcisistiche (scritte da chi ha bisogno di esprimersi in maniera seriale, e ogni tanto ha anche buone cose da dire) e quelli con delle recensioni utilitaristiche (fatte da chi ha comprato/provato/usato la cosa da recensire per suo bisogno e restituisce alla rete quel che era il bisogno e la risposta trovata nel prodotto).
Ecco, è una categorizzazione sicuramente migliorabile, ma non ci avrei pensato se non mi fossi voluto mettere all’opera su questo orologio. Che è un bell’orologio, tra parentesi.
Anzi, parliamo proprio di lui. Perché a quel che ho capito il modo per approcciare un oggetto da recensire è dedicarsi in prima battuta alle sue caratteristiche fisiche e tecniche.
Il Millemetri Japan LE di Anonimo (più di recente diventata Anonimo – Firenze Orologi) è un variante del modello Millemetri, prodotta in 50 esemplari nel 2007 da Anonimo utilizzando un materiale particolare per la cassa, cioè una speciale lega di bronzo marino (non per il fondello, che invece è in acciaio stainless 316L per evitare che la lega di bronzo macchi la pelle o possa dare allergia) progettata e realizzata internamente.
I modelli Millemetri sono il primo progetto di orologio realizzato da Anonimo dopo la sua creazione: la prima versione risale al 1997 e le caratteristiche dell’orologio sono rimaste sostanzialmente invariate. La cassa è di 42 millimetri ed è facilmente riconoscibile per la forma sbombata dell’esterno contrapposta al quadrante circolare, e alle due corone sul lato destro, una a ore due e una a ore quattro.
La prima corona è in realtà una valvola per la fuoriuscita dell’elio in fase di decompressione dopo una lunga immersione. Nei primi modelli (compreso il Japan LE) è a vite con azionamento manuale, e quindi ha il corpo zigrinato per una migliore presa; successivamente viene utilizzata una valvola automatica e con il corpo liscio, tranne una incisione trasversale sulla testa.
La seconda corona, di dimensioni più che generose fin dai primi modelli e con il corpo zigrinato, è la corona a vite vera e propria, che serve a regolare l’ora e la data. Nei modelli successivi, quando viene introdotta la versione con valvola dell’elio automatica, cambia anche la corona che diventa di dimensioni “maxi”, con una zigrinatura più rarefatta e con un sistema chiamato da Anonimo “Red Alert”, cioè un anello colorato di rosso che rimane a vista quando la corona non è perfettamente serrata, segnalando così il rischio di infiltrazioni di acqua se ci si dovesse immergere.
Il quadrante dei Millemetri rimane strutturalmente uguale in tutte le varianti (e sono davvero numerose) e nei suoi 15 anni di vita: una finestrella per la data (in orologese si chiama “guichet”) posizionata a ore quattro, il logo “Anonimo” che è presente nella zona centrale del quadrante, verso le ore 12, e ripetuto sull’esterno della corona oltre che nella fibbia del cinturino, la specifica “Automatic 100 ATM” a ore sei, cui successivamente si aggiunge la scritta “Handcrafted in Firenze” lungo il bordo del quadrante da ore sette a ore cinque.
Il disegno di questi quadranti è straordinariamente semplice e arioso, una combinazione che solo pochi modelli prodotti da Anonimo possono vantare. Gli indici con l’ora scritta in numeri sono solo quattro: 12, 3, 6 e 9. Per marcare tutte le ore, però, viene sempre utilizzato un triangolo con la punta rivolta verso l’interno, cosa peraltro corretta anche da un punto di vista storico: gli orologi per immersione hanno un triangolo ad ore 12 rivolto verso l’interno (o il basso) mentre quelli per aviatore hanno un triangolo rivolto verso l’esterno (o l’alto) a cui si possono aggiungere due pallini nel caso l’orologio fosse militare.
La particolarità di tutti i Millemetri si intuisce partendo dal nome: la resistenza a 101 atmosfere di pressione (100 “stabilizzate”) che permettono di raggiungere una profondità di circa mille metri. In alcuni varianti di questo modello la pressione sopportabile è ancora maggiore (circa 120 atmosfere) e comunque segna un valore molto elevato. Millemetri è concepito per essere, più che un orologio “sportivo”, un orologio “professionale” (anche se Anonimo ha anche una linea di orologi chiamati Professionale che arrivano a duemila metri di profondità) e molto solido.
Assieme all’orologio viene fornito un cinturino in pelle chiamato “Kodiak” che ha la particolarità di essere resistente fino a 24 ore all’immersione in acqua di mare (deve comunque essere sciacquato) grazie a un pre-trattamento con resine speciali che lo rendono più resistente alla corrosione che l’acqua salmastra solitamente genera sulla pelle dei cinturini. Anonimo fornisce anche cinturini in materiale plastico o (per alcuni modelli) un bel bracciale in metallo, purtroppo molto raro e costoso.
Il vetro dell’orologio è zaffiro bombato senza trattamento antiriflesso. Gli indici e le lancette sono trattate con un materiale chimico fortemente luminescente che si chiama “Super Luminova” e che rende estremamente visibile anche al buio l’ora. Il quadrante della variante “Japan LE ” del Millemetri è nero con un giglio di Firenze di color bianco a ore sei e la scritta 100 ATM, manca la scritta “Handcrafted in Firenze” mentre il logo a ore 12 porta scritto al piede su due righe: “Millemetri” e “Automatic” (indicazioni standard dell’epoca Massacesi pre-Cypers).
Sul retro dell’orologio, cioè sul fondello, si legge “Opera Meccana 2000”, l’anno di produzione (07), il numero dell’orologio rispetto al numero totale di quelli prodotti (uno dei cinquanta) e poi “Japan Special Edition 100 ATM Made in Italy”. Anche il cinturino è marchiato sia Kodiak che Anonimo. Nel caso di questo orologio è di color nero con imbastitura color sabbia ed è molto spesso, per “reggere” il peso di un orologio sicuramente non sottile come il Millemetri.
Ok, grossomodo l’orologio visto da fuori è questo. All’interno della cassa ovviamente c’è il movimento che fa funzionare il Millemetri: è prodotta dalla svizzera ETA (gruppo Swatch) ed è il Calibro 2824-2 con 25 rubini, una riserva di carica di 40 ore e una frequenza di 28.800 oscillazioni all’ora. È un movimento classico dell’azienda svizzera e viene fornito con diversi livelli di allestimento: nel caso di Anonimo è stato scelto il livello intermedio dei tre, cioè non quello base (“Standard”) ma neanche il Top, cioè quello certificato dal COSC, il Contrôle Officiel Suisse des Chronomètres, l’istituto svizzero che certifica il livello di ogni singolo modello di orologio (“livello Cronometro”) sulla base di parametri di funzionamento che prevedono una variazione di marcia di −4/+6 secondi al massimo al giorno con una variazione massima complessiva di +/- 10 secondi al giorno.
Il livello selezionato da Anonimo è il mediano “Elaborato”, che nel Calibro 2824-2 significa che è stato testato affinché non superi i +/-7 secondi al giorno con una variazione massima complessiva di +/-30 secondi al giorno. Una serie di valori che fino a un po’ di tempo fa richiedevano un apparecchio piuttosto costoso per poter essere verificati e quindi regolati su tre o quattro posizioni (cioè gli orientamenti del quadrante che simulano le posizioni in cui l’orologio si troverà a seconda dei movimenti del polso durante la giornata) e che adesso invece sono quantomeno “testabili” con una app da due euro per iPhone che si chiama Kello.
La cosa divertente per quanto riguarda i movimenti degli orologi, che vengono chiamati “calibro XX” (con un nome che in realtà molto spesso è un numero), è che sono la parte meno importante per quanto riguarda Anonimo. Ma sono anche la parte dell’orologio che mi ha fatto perdere più tempo per capire di cosa stessimo parlando. Dopotutto, dal punto di vista tecnologico, la funzione dell’orologio come segnatempo è realizzata dal calibro, cioè dal motore interno, e sono in buona sostanza le differenze di progettazione e implementazione a rendere un orologio migliore o peggiore nel tenere il tempo, senza contare le elaborazioni aggiuntive, che in orologese vengono chiamate “complicazioni” (dal cronografo al lunario, ma anche la data o il secondo fuso orario).
Sui movimenti un appassionato di meccanica può perdere la testa: è come parlare di valvole a un audiofilo hi-end esoterico. Ma tutto questo mondo meccanico, che un tempo oramai lontano veniva anche percepito dai clienti “normali” (quando venivano spiegate le bellurie degli orologi automatici all’inizio del secolo scorso) e che contribuiva a determinare il valore e quindi il prezzo di un orologio meccanico, è stato cancellato quasi completamente dall’avvento del quarzo, che ha reso affidabile qualsiasi segnatempo anche da poche lire.
Io mi sono avventurato nel mondo dei movimenti e più in generale in quello del gergo degli orologi (l’insieme di vocaboli specifici dell’orologese) per mesi, cercando di orientarmi. È come un viaggio nel tempo, se mi permettete il gioco di parole, perché si rimettono assieme centinaia di nozioni e parole percepite nel corso degli anni ma alle quali non era stato dato un senso preciso. Un orologio meccanico può essere a carica manuale oppure automatico, quando la ricarica è fornita da una massa oscillante azionata dai movimenti del polso.
Un orologio meccanico è un cronometro se viene certificata la sua regolarità (in Svizzera dal COSC), ma se invece abbiamo bisogno di un orologio per segnare i tempi di una gara allora abbiamo bisogno di un “cronografo”. Il “bariletto” (ma può essercene anche più di uno) presente all’interno dell’orologio è un cilindro di metallo con una molla a spirale chiamata “molla motrice” che fa da riserva di carica per la “marcia” dell’orologio. Le parti dell’esterno dell’orologio sono la “cassa”, cioè l’elemento che contiene e protegge il movimento, il “fondello”, cioè la parte inferiore della cassa che nel caso del Millemetri è avvitata (anzichè a pressione) per avere maggior tenuta, la “lunetta”, cioè l’elemento superiore che tiene assieme cassa e vetro a protezione del quadrante, e poi il “quadrante”, lo schermo interno dell’orologio sul quale sono marcate le ore (“indici”) dove girano le lancette assieme a una “scala” dei minuti e dove sono presenti altri “tondi” con lancette, indici e scale più piccoli per funzioni particolari (secondi e minuti in un cronografo, ad esempio) e la “corona di carica”, che è la parte sporgente che serve a caricare l’orologio e a regolare l’ora e la data.
Ecco, per mettere insieme alcune centinaia di questi termini, che la rete espone anche in francese (la lingua franca dell’orologese) e in inglese, oltre che in tedesco, ci vuole tempo. Sorvolare su tutto questo e paracadutarsi direttamente alla recensione dal mio punto di vista sarebbe un lavoro senza senso. Il vantaggio di questo lavoro è che l’ho fatto sostanzialmente con al polso il Millemetri Japan LE. Ho scoperto così che gli ébauches, i movimenti forniti a terzi da ETA, sono la norma a tal punto che l’antitrust svizzero ha aperto un’inchiesta nel 2002 che ha portato lo Swatch Group ad annunciare che da lì a breve avrebbero smesso di rifornire le aziende che realizzano orologi automatici al di fuori del gruppo. Questo ha provocato un terremoto, visto che ETA era il monopolista di fatto del settore (nasce dall’incorporazione di una serie di produttori di pregio durante la crisi degli anni Settanta e Ottanta, tra cui Valjoux, Lemania, Eterna, FHF), e ha rallentato l’implementazione di questa norma sino ai giorni nostri: sono pochi mesi infatti che il divieto è entrato effettivamente in funzione, dopo che ETA aveva lentamente diminuito i contingenti di movimenti.
In questo momento accanto ad ETA ci sono altri due o tre fornitori svizzeri di movimenti che hanno la stessa qualità e seguono soprattutto le stesse filosofie di progettazione, rendendo in molti casi compatibili e interscambiabili molte componenti dei movimenti. E non è una cosa banale, perché in parti con tolleranze prossime al micron come i ruoteggi e i rubini o le spirali e i bilancieri di un calibro prodotto da una certa azienda, la possibilità di trovare ricambi anche nei pezzi di un’altra è abbastanza interessante se non rivoluzionaria da un punto di vista di sinergie. Le altre aziende che producono questi movimenti sono Sellita (che da sola adesso fa quasi il 25% dei movimenti realizzati in Svizzera, inclusi quelli per Anonimo e che è la più vicina alla produzione di ETA), Dubois-Depraz e Soprod (che invece fa movimenti più “distanti” come progettazione).
Uscito fuori dalla selva oscura dei movimenti per orologio, veniamo all’oggetto. In questo caso, il nostro Millemetri Japan LE, che è un orologio reso ben pesante dalla cassa in bronzo. Proprio il bronzo, nella speciale lega selezionata da Anonimo, è la UNI5275 (o C95500), ed è una lega di bronzo con alluminio e nickel, ma priva di piombo. Secondo alcuni siti anzi le percentuali nominali sono: 11% di alluminio, 4-5% di ferro, 5% di nichel, livello massimo di manganese 3.5%, il resto è rame (con alcuni componenti aggiuntivi minori). La lega è usata per tutta una serie di componenti che devono resistere alla corrosione (parti meccaniche, cuscinetti a sfera, valvole) in ambienti marini.
La particolarità degli orologi di Anonimo è che vengono trattati con una pellicola per proteggerli dalla corrosione data dagli elementi chimici, anche quelli contenuti nella traspirazione della pelle, ma che non impediscono la caratteristica ossidazione del bronzo. Anzi, è proprio l’ossidazione il punto di forza: il materiale si “macchia” in maniera irregolare e assume sfumature che vanno dal nocciola al marrone scuro, con un alone scuro e cupo, che sono uniche per ciascun orologio e sono determinate dal Ph della pelle e dal modo di indossarli del proprietario. In pratica: un orologio che invecchia in maniera unica con il suo proprietario, ma che al tempo stesso è più resistente agli agenti esterni della maggior parte dei metalli, anche se non è altrettanto duro quanto l’acciaio.
Affascinato da questo tipo di considerazione mi sono reso conto con la pratica che la colorazione del Millemetri Japan è a bassa manutenzione: basta lavare una o due volte la settimana con un po’ di acqua tiepida l’orologio (magari usando un vecchio spazzolino a setole morbide) per evitare un eccessivo accumulo di elementi che contribuiscono all’ossidazione. L’orologio appare oltremodo resistente e piacevole al tatto: il bronzo appare tiepido rispetto all’acciaio. Cosa resa ancora più evidente dal lavoro di progettazione: il peso ma anche gli angoli non smussati nei tagli della sua superficie lo rendono “meccanico” al limite dello spartano.
La progettazione e poi la lavorazione particolare usata da Anonimo per produrre tutti i 2.500 orologi che commercializza ogni anno è tale per cui il Millemetri abbia forme decise, quasi dure e taglienti, senza i caratteristici angoli sbombati e bordi smussati della produzione tradizionale. Indossandolo con un numero abbastanza ampio di camice e magliette, però, appare evidente che l’orologio è ben pensato e non diventa un “uccisore di polsini” (vero terrore di tutti gli uomini abituati a portare vecchi orologi con superfici ruvide o acuminate orientate verso la parte più debole di una camicia). Piuttosto, si indossa abbastanza bene con qualsiasi camicia o golf che non sia eccessivamente stretto al polso, meglio se con un polsino leggermente rigido e lungo.
La prima cosa che mi aveva colpito indossandolo era stata la durezza del cinturino. Che mi aveva quasi fatto pensare che l’orologio fosse un totale “fiasco”. Passate 48 ore, il cinturino si era decisamente ammorbidito e aveva preso la forma del mio polso, evidenziando il suo più grande pregio (è molto bello e morbido) e subito i suoi due difetti: è molto delicato (basta poco per sfregarlo lungo i bordi facendo emergere il colore marrone sottostante) e relativamente corto: devo tenerlo all’ultima o penultima posizione. È comunque un bel cinturino che complementa adeguatamente l’orologio. Il Millemetri ha fin dall’inizio evidenziato la sua dote di unicità. Alla base della sua scelta c’era stato il ragionamento che comprare un orologio anche di prezzo paragonabile (un Rolex Oyster Perpetual, un Omega Speedmaster) vuol dire fare metà della strada. Da un lato prendere un oggetto meccanico di ottima progettazione, dall’altro un prodotto realizzato ogni anno in alcune centinaia di migliaia di esemplari, in modo assolutamente opposto all’idea di quello che deve essere una produzione artigianale.
Invece, Anonimo realizza i suoi orologi a mano uno per uno, utilizzando una serie di torni e di frese di alta precisione e lavorando a partire da “pieni” che vengono levigati ed estrusi uno per uno, anziché da pezzi che escono da stampi del prodotto definitivo ripassati con il laser industriale da macchine a controllo numerico totalmente automatiche. La tecnica molto più artigianale di Anonimo permette di avere maggiore solidità e tolleranze migliori, ma anche unicità e qualità di lavorazione molto diversa da quella dei prodotti industriali.
Le casse degli Anonimo sono quello che l’azienda ritiene sia il suo piccolo capolavoro, e vengono realizzate a Lastra a Signa nel laboratorio guidato da Antonio Ambuchi, che è responsabile anche della progettazione. Il lavoro fatto da Ambuchi è ragguardevole: non solo per la prolificità dei modelli disegnati, ma anche per la complessità e varietà delle tecniche usate per i diversi tipi di orologi: di acciaio satinato, scurito con tecnica Drass – un tempo Ox Pro – pettinato, sabbiato, lucidato, in bronzo. Le tecniche di Ambuchi sono complesse e richiedono tempo per realizzare i venti o trenta passi necessari a ciascuna, cassa per cassa. Usare una macchina automatica porterebbe a dei compromessi nel numero del passaggi e quindi nella resa finale del lavoro.
Finito il lavoro sulla cassa nel laboratorio di Lastra a Signa si passa alle verifiche di resistenza all’immersione, poi al montaggio e alla registrazione del movimento (operazione che richiede un paio di ore per ciascun orologio) e infine all’assemblaggio del cinturino o del bracciale e alla confezionatura della scatola finale, con licenze, imballi e materiale illustrativo. Un lavorone.
Mi sono chiesto a lungo: qual è il criterio con il quale valutare l’orologio? Dopo averlo portato per mesi, ritengo di aver cominciato a capire. Quelli indicati finora sono i presupposti. Le tecniche di lavorazione, il posizionamento nel mercato, il tipo di significato che questi prodotti stanno acquisendo per la società. La crescente importanza dell’unicità di un certo tipo di orologio. Averlo al polso vuol dire cominciare a costruire un rapporto con un oggetto estremamente personale, che ci accompagna sempre. Con cui si fa la doccia, si va in piscina, si dorme, si fa sport, si lavora e si passa il tempo libero. Nella nostra società riacquistare l’abitudine di guardare il polso per sapere che ore sono vuol dire avere fiducia nell’accuratezza del movimento ma anche recuperare una gestualità che va a scomparire, e poi vuol dire addobbarsi con un oggetto che dice qualcosa di noi, dei nostri gusti, del nostro modo di pensare (né più né meno di un paio di scarpe o di un cappotto, di una maglietta, capiamoci bene, però è sempre qualcosa).
Così ho scoperto che guardare l’ora nell’orologio di Anonimo è una esperienza piacevole. Da un lato perché percepisco la robustezza e il peso dell’oggetto, che mi rinfranca e mi fa pensare che sia un oggetto ben fatto e vigoroso. Dall’altro perché mi piace sapere di avere vicino qualcosa di unico che oltretutto cambia assieme a me (l’ossidazione della cassa) e che si tratta di un orologio oggettivamente grosso ma non appariscente (non ha un colore metallico lucido o un quadrante chiaro e quindi più visibile da fuori, è privo di marchi comprensibili e non somiglia a un Rolex). Infine, mi conforta perché, pur vivendo lontano dalla mia città natale, ha qualcosa che me la ricorda in maniera sobria con il piccolo giglio bianco quasi al centro, mentre il quadrante nero pulito, sgombro e ben leggibile, è una costante forma di soddisfazione per il mio senso estetico e anche un buon aiuto per la chiarezza nella lettura dell’ora.
Ho usato il Millemetri Japan LE vestendomi elegante (abito e cravatta), business casual (giacca con o senza cravatta con spezzato) e sportivo (maglietta e jeans) portandolo in spiaggia al mare o a cene di lavoro importanti. Non è mai stato appariscente, ma casomai interessante per chi lo notava e adeguato nella maggior parte dei casi. Indossarlo al mattino è diventato ben presto una routine piacevole. La precisione è sempre stata nei margini stabiliti dal livello di allestimento del movimento (più di dieci ma meno di trenta secondi al giorno).
Frequentando sempre più spesso per lavoro i forum e le aree commenti degli articoli dei giornali e delle testate online, dove si accavallano gli insulti agli strepiti e su tutte valgono gli eserciti contrapposti dei “fanboy” di diverse partigianerie (iPhone contro Android, Apple contro Samsung, Nokia e Blackberry contro gli altri etc.) ho sentito rafforzarsi dentro di me la convinzione che oramai l’accesso alle tecnologie, così come quello agli orologi, ha una base talmente ampia che non esiste una recensione in grado di interpretare correttamente il senso di un apparecchio. Perlomeno, non riesce a farlo per tutti quanti dato che siamo troppi e con gusti legittimamente troppo diversi. Quel che piace a uno è odioso per un altro e via con mille sfumature intermedie. Che senso ha mettere come pro di un orologio la sua robustezza quando c’è chi preferisce modelli usa e getta, o che vuole il quarzo per la precisione contrapposto al meccanico per la sorprendente capacità di manifattura necessaria a realizzare un segnatempo automatico? Non credo si possa neanche più dire che il minimo comune multiplo delle recensioni è chiarire se un apparecchio funziona oppure no, perché ci possono essere legittime aspettative che anche apparecchi mal funzionanti siano apprezzabili proprio per questo fatto.
Si fa la tara rispetto al recensore e si confronta con le proprie aspettative
Insomma, il modo che sto capendo si può usare per recensire un apparecchio, sia esso un orologio o un computer o un telefono, è chiarire prima di tutto chi è il recensore e come utilizza quel tipo di beni. A questo punto spiegare la propria routine di utilizzo e le sensazioni, i miglioramenti (o peggioramenti) che il nuovo apparecchio comporta acquista non solo un senso ma anche un valore. Se utilizzo tutto Mac, poi avere tra le mani Windows 8 mi pone più problemi (come diavolo faccio a migrare tutte le cose che da anni faccio su Mac?) che non vantaggi, mentre per un utente Windows Vista le novità sono vantaggi e miglioramenti molto forti.
Non è una teoria particolarmente nuova o innovativa, la mia. Credo che ormai da anni i lettori dei critici di musica, cinema, televisione, teatro, danza, siano abituati a prendere in considerazione il gusto del proprio recensore preferito prima che l’oggetto che viene recensito di volta in volta. Si fa la tara sulle aspettative rispetto al recensore e le si verificano e confrontano con le proprie, declinate su oggetti e situazioni diverse. Online questa tendenza viene frammentata e resa più difficile, ma alla fine cercare di realizzarla vuol dire ricostruire un ecosistema di credibilità e una serie di nicchie di gusto che si coagulano attorno a stili di vita chiari e ben esplicitati. Dal mio punto di vista trovo affascinante avere la possibilità di esplorare ancora ulteriori mondi di conoscenza attraverso questa tecnica.
Se guardo l’ora sul Millemetri Japan LE emerge adesso la consapevolezza di molte più cose. La dimensione estetica e quella funzionale sono più che soddisfatte, mentre anche quella del gusto e dello storytelling vengono adeguatamente gratificate non solo dall’oggetto in sé ma anche dal lavoro di maturazione della mia consapevolezza che ho dovuto fare per conoscerlo, capirlo e apprezzarlo.
Questo introduce un’ultima considerazione, neanche tanto fuori luogo visto che parliamo di orologi, e cioè il tempo. Perché il tempo necessario a fare tutte queste cose è anti-consumistico, è il contrario del consumo mordi-e-fuggi. Ce ne vuole tanto per scegliere, e non ne abbiamo a disposizione molto, a meno di non voler consacrare la nostra vita al culto degli orologi (diventando dei WIS, Watch Idiot Sauvant, come sono definiti in rete). E il fatto che il tempo scarseggi è utile anche dal punto di vista più squisitamente economico. Un orologio da mille, duemila, tremila euro non è un bene che diventa facilmente oggetto della “fame del consumo”.
Mettiamola in un altro modo. Nella vita di orologi a questo livello di costo quanti te ne puoi permettere? La maggior parte di noi nessuno. Poi quasi l’altra metà se ne può permettere uno solo, alcuni anche due ma tendenzialmente rivendendo il primo per acquistare il secondo. Invece quelli che possono averne più di due sono molto meno dell’1% della popolazione nostrana. Ma, date retta a me, ci mettono molto meno impegno, perché in loro prevale più la scarsità di tempo che non quella dei soldi.
Invece, per i comuni mortali l’acquisto di consapevolezza e il necessario percorso di apprendimento sono anche un modo sano per avvicinarsi a una scelta di acquisto di un orologio che, se la si vuole compiere, difficilmente è ripetibile più di una volta nella vita. I criteri con i quali compierla sono tanti, e sono più dentro di noi che non fuori: la fascinazione per la meccanica ultra-fine, per le lavorazioni genuinamente artigiane, per il gusto mininalistico; queste sono scoperte che riguardano più me che non il mondo dell’orologeria. E c’è voluto quasi un anno per arrivarci.
Ecco, fare una recensione così (e spero anche a leggerla) alla fine mi sono convinto che ne valeva la pena.
(pubblicato domenica 2 dicembre 2012)