[Mostly Weekly ~294]

Tokyo e l'AI come strumento di mediazione linguistica


A cura di Antonio Dini
Numero 294 ~ 20 ottobre 2024

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Grazie per aver aperto questa pagina! Come leggerete più sotto, sono in viaggio. Ma Mostly Weekly, la mia piccola newsletter settimanale che esce quando è pronta, realizzata a mano, piena di refusi ma priva di algoritmi (almeno quello), va avanti imperterrita.

Grazie a tutte le persone che stanno donando dei piccoli (e non piccoli) contributi a Mostly (opens new window)! Se anche gli altri vogliono sostenere un progetto online, per sostenere il mio lavoro (opens new window) possono fare una donazione qui su PayPal (opens new window) in modalità Amici.

Intanto, buona lettura.


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Perché il Giappone? Perché è il Paese della scrittura: di tutti i paesi che l'autore ha potuto conoscere, il Giappone è quello in cui ha incontrato il lavoro del segno più vicino alle sue convinzioni e ai suoi fantasmi, o, se si preferisce, il più lontano dai disgusti, dalle irritazioni e dai rifiuti che suscita in lui la semiocrazia occidentale.
– Roland Barthes (L'Empire des signes)




Tokyo
Tokyo ~ Foto © Antonio Dini


Editoriale

Tōkyō (東京)
Finora ho schivato la pioggia, ma la fortuna non può durare per sempre. Mi bagnerò, già lo so. Ma va bene così. Sono a Tokyo per un po' di giorni. La città è un incanto, anche se molto più umida e calda di quanto non lasciassero supporre le previsioni meteo dall'Italia. E, mentre scrivo, fuori dalla finestra del mio ryokan si sente la pioggia che batte fitta contro il legno del tetto.

C'è tutta una letteratura sul Giappone in generale e Tokyo in particolare: sulla distanza culturale, sul vuoto al centro della città (contrapposto alla nostra idea di "pieno" del centro), sull'uso di segni per noi non intelligibili. Roland Barthes ci ha scritto alcune delle sue pagine migliori con L'impero dei segni (opens new window), dopotutto.

Il mio rapporto diretto con Tokyo è iniziato un quarto di secolo fa, ma la desideravo fin da bambino. La lingua è sempre stata una delle barriere maggiori, ovviamente: non a caso tempo addietro ho avviato il mio piccolo dizionario tematico di giapponese.

Negli anni per venire qui in Giappone sono passato dai manualetti di lingua per turisti, con le frasi fatte da dire al ristorante o al vigile urbano, al riconoscimento pavloviano delle insegne dei videogiochi, mappate in modalità mentale "raster" dopo ore di partite notturne, sino all'uso dei traduttori come quello di Google e di Apple (grazie anche alle eSim e alla possibilità di usare il telefono sostanzialmente come in Italia).

Certo, negli anni è cambiato tutto e radicalmente: mappe interattive, direzioni facilitate, segnaletica occidentale, la fotocamera che inquadra e traduce il testo giapponese di qualsiasi cosa. Venire a Tokyo un tempo era come entrare in una caverna quasi totalmente buia. Si capiva poco e male. Era anche il suo bello: un'esperienza sensoriale prettamente visiva ma sconnessa dal senso. Si dovevano strappare le parole dall'oscurità, una per una. Mozziconi di discorso in giapponese. Prezioso e volubile. Come un esercizio salgariano. Dopotutto, quando i marinai arrivavano in un porto lontano, imparavano così le parole e i gesti. Trovavano i significati per la strada, nelle osterie, nelle locande.

È successa però un'altra cosa. Nel corso di questi venticinque anni è come se, un po' per volta volta, mi stesse spuntando un cyberpotere capace di accendere una luce di senso sull'oscurità uniforme dei segni attorno a me. Sapevo da sempre, ad esempio, che entrare in una libreria di Jimbocho vuol dire sostare davanti a un muro di oggetti a forma di libro, totalmente incomprensibili. Ora non più.

Quest'anno ho fatto un po' di esperimenti con l'AI: la versione pro di Claude. Ho iniziato a fotografare gli scaffali delle librerie e chiedergli che libri ci fossero, che tipo di letteratura. Quali gli autori conosciuti e non conosciuti in occidente. Le risposte sono buone: contesto, spiegazioni, indicazioni, decine di stimoli. Mi sa che dovrei farlo anche nelle librerie italiane.

Poi, a cena, ho utilizzato Claude come alternativa al traduttore lineare. Quest'ultimo di solito traduce in giapponese le frasi dirette malamente, perché ci sono molte differenze culturali strutturali che semplicemente non si possono trasferire con un approccio uno-a-uno. Quel che serve non è tanto una traduzione, quanto una mediazione culturale e linguistica. Così, ho spiegato il contesto a Claude ("Sono a cena fuori a Tokyo con due amici giapponesi che non parlano inglese o italiano", eccetera) e gli ho chiesto di scrivere in giapponese appropriato al contesto il senso di quello che mi interessava dire. E poi di tradurre a sua volta quel che loro scrivevano sul mio telefono (basta mettere il giapponese come ulteriore tastiera e il gioco è fatto).

I risultati sono stati sorprendenti: è stato come andare a cena fuori con un interprete al fianco. Cioè, non con un traduttore simultaneo, ma con un interprete vero, che opera una mediazione linguistica sia nei confronti dei miei interlocutori che nei miei.

Intanto, ogni volta mi spiegava come aveva deciso di impostare la traduzione ed eventuali verifiche. Poi, mi proponeva delle alternative e degli arricchimenti. Infine, sulle risposte, mi offriva anche del contesto e la spiegazione delle possibili intenzioni da parte dei miei interlocutori. E ha fatto bene a farlo, perché è parte del processo di mediazione (Per dire: "A questo punto sarebbe scortese dirgli che non vuoi il caffè") Affascinante. E sono convinto che il limite sia la mia fantasia: che potrei fare di più, se mi venissero in mente altri usi.

La cosa più promettente è che oggi tutto questo avviene in modo laborioso e meccanico, smanettando tutto il tempo sui keitai e con parecchie competenze necessarie da parte nostra (non sono all'oscuro della lingua e della cultura giapponese). Se ho capito qualcosa dei cicli tecnologici, non sarà sempre così. Quando qualcosa diventa possibile, poi è solo questione di tempo perché diventi facile.

C'è poi un motivo se utilizzo Claude e non una app dedicata (sono sicuro che ce ne sono). Penso infatti che uno dei vettori di sviluppo sarà la personalizzazione di un singolo servizio di AI, che apprenderà dalle interazioni con il suo utilizzatore (cioè me, in questo caso) e adatterà il suo comportamento sulla base di queste ultime. Deve insomma conoscere la mia storia, per poter mediare bene qualcosa.

A me pare che questo sia un uso molto più interessante dell'AI che non farsi fare la newsletter automaticamente, per esempio, come vedo invece a giro che sta accadendo sempre più spesso. È anche il motivo per cui, per onorare il concetto di Mostly, questo e il prossimo numero saranno particolarmente essenziali. Dopotutto, c'è tutto un mondo attorno a me, al di fuori dello schermo. Ora scusate, vado a dormire perché domattina presto, se non piove, vado a un museo "open air" (opens new window) che non ho ancora visitato.


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Libri
Libri ~ Foto © Antonio Dini

Italiana

I grandi esclusi
Caterina Orsenigo con il dente avvelenato sul mondo accademico (opens new window). Abbiamo in effetti un problema, ma c'è anche tanta amarezza pregressa.

Confuse confutazioni
Forse la notizia che ci voleva lo Spid o la CIE per entrare sui siti porcelloni non era proprio corretta. Però l'articolo del commissario Massimiliano Capitanio (opens new window), il primo burocrate dell'Agcom, non si può proprio leggere, sembra scritto da un'AI che fa le supercazzole.

Simone Veil
Il 30 giugno 2017, all'età di 89 anni, moriva Simone Veil (opens new window), prima presidente donna del Parlamento europeo e già ministra del governo di Parigi negli anni Settanta, femminista, politica e accademica, figura centrale delle vita culturale francese per oltre quarant'anni. Era nata nel 1927, subì la deportazione nazista nel campo di concentramento di Auschwitz, dal quale tornarono solo lei e la sorella, liberate il 27 gennaio 1945 (la giornata della memoria). Chi era Simone Veil (opens new window). È appena uscito un suo testo inedito: «Pour les générations futures (opens new window)», pubblicato con notevole interesse in Francia (opens new window) ma che secondo me faremmo bene a tradurre anche da noi. E pure velocemente.


Multimedia

Il doloroso genio
Il corto di Chantal Akerman Saute ma ville (opens new window) (1968).

L'inutile genio
Un video di sedici minuti di un gigantesco aggeggio veramente gigante (opens new window), interamente realizzato in Lego, che fa cose inutili in modo ipnotico.

AI AI AI
The Blondoner si è andata a imbucare tra quelli che fanno training all'AI, il suo reportage (opens new window) è impressionante.

Lost and found
The Lost Record (opens new window) di Susanna Hoffs (The Bangles) è un piccolo capolavoro (opens new window) ritrovato e pubblicato trent'anni dopo (opens new window). Sono prevalentemente canzoni del 1999, quando si era sposata, aveva avuto un figlio e viveva una piccola crisi di identità. Bentornato, ventesimo secolo.


Tsundoku

The notebook di Roland Allen (opens new window)
È la storia del quaderno per gli appunti. Che è molto di più: uno strumento per pensare su carta.

Meditations for Mortals di Oliver Burkeman (opens new window)
Quattro settimane per abbracciare i propri limiti e prendere tempo per ciò che conta.

Artists in Times of War di Howard Zinn (opens new window)
Perché criticare il governo è il più alto atto di patriottismo.

Building SimCity di Chaim Gingold (opens new window)
Un'immersione profonda nel pionieristico gioco di simulazione. Questo libro racconta una storia affascinante collocando SimCity al suo posto nella storia del gaming, della simulazione e dell'informatica.

Science and Colonial Expansion di Lucile H. Brockway (opens new window)
Geopolitica verde: la rete di giardini botanici britannici ha sviluppato e trasferito piante economicamente importanti in diverse parti del mondo per promuovere la prosperità dell'Impero britannico, cambiando gli habitat del pianeta e insomma, mostrando che anche con la botanica si esercita una forma di potere.


Coffee break

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D3C

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Al-Khwarizmi

Largo ai giovani
Cambio al vertice (opens new window) di Google Search e Ads (forse in meglio? (opens new window))

In memoriam
Un bel ricordodell'iPod nano (opens new window) che magari tornasse (non costa così tanto in rete).

Piccole cose
Una volta era la regola per tutti: più è miniaturizzato, meglio è. Poi sono arrivati phablet, poi i Max e i Plus, ed è finito tutto. Adesso l'era dei nano-phone (opens new window) potrebbe tornare.

Altri tipi di intelligenza
I ricercatori Apple scoprono che gli LLM non hanno solide capacità di ragionamento matematico (opens new window) e c'è un perché (opens new window). La non-sorpresa comunque è che non bisognerebbe parlare di intelligenza ma di apprendimento automatico. Eddai.

Pian pianino
Internet Archive sta ripartendo (opens new window), dopo l'attacco che l'ha messo in ginocchio (opens new window). Certo che bisogna proprio essere dei fetentoni per fare una cosa del genere alla Fondazione.


Cucina
Cucina ~ Foto © Antonio Dini

La coda lunga

Quando la geopolitica minaccia i domini Internet
Il mondo tech è in subbuglio: il popolare dominio .io potrebbe presto scomparire. Ed è un problema, soprattutto per molti blogger del nostro Paese. Tutto a causa di una decisione geopolitica che sembra lontana anni luce dal mondo digitale.

Infatti, il governo britannico ha annunciato la cessione delle isole Chagos alla vicina Mauritius. "E allora?", direte voi. Beh, quelle isole formavano il Territorio britannico dell'Oceano Indiano, da cui deriva il codice "IO". Sì, proprio il nome di dominio modaiolo .io. L'indirizzo di primo livello che ha conquistato il cuore degli sviluppatori e delle startup per la sua brevità e per il richiamo all'informatica (IO = input/output). Da Google I/O in poi, è diventato sinonimo di innovazione nel settore. In Italia è molto amato anche dai creatori digitali perché sottolinea la loro identità come pronome personale. Tutto bello, ma ora rischia di finire male e sparire tutto.

Perché? Le regole internazionali sono chiare: se un territorio cessa di esistere, il suo dominio deve essere eliminato. È già successo in passato con l'Unione Sovietica (.su) e la Jugoslavia (.yu), creando non pochi grattacapi. Ora, migliaia di aziende e progetti online potrebbero trovarsi con un dominio "fantasma", che non c'è più. Immaginate di dover cambiare improvvisamente il vostro indirizzo web, con tutto ciò che ne consegue: SEO, marketing, brand identity. Banalmente i link degli altri.

Un incubo con due scenari possibili: IANA (l'autorità che gestisce i domini) può applicare rigidamente le regole, eliminando gradualmente tutti i siti con quel nome di dominio, oppure può fare un'eccezione, permettendo la sopravvivenza del dominio. Ma questo potrebbe creare un pericoloso precedente nel caso di altri paesi. insomma, non è facile.

A prescindere, è un esercizio mentale per ricordarci che mondo digitale e mondo reale sono legati. La geopolitica può avere ripercussioni immediate e inaspettate sul cyberspazio. Per le aziende ma anche per gli individui, è un monito pratico: nella scelta di un dominio non basta considerare solo l'appeal marketing. Invece, bisogna valutare anche la stabilità geopolitica a lungo termine perché nel mondo sempre più interconnesso di oggi, nulla è veramente separato.





“Un uomo deve amare molto una cosa se la pratica senza alcuna speranza di fama o di denaro, ma anche se la pratica senza alcuna speranza di farla bene. Un uomo del genere deve amare le fatiche del lavoro più di quanto qualsiasi altro uomo possa amare le ricompense che ne derivano”

– G.K. Chesterton


END




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