[Mostly Weekly ~216]
Siamo animali danzanti che amano i videogiochi e le gru di carta
A cura di Antonio Dini
Numero 216 ~ 23 aprile 2023
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Qui l'archivio dei numeri precedenti.
Intanto, buona lettura!
You are under no obligation to remain the same person you were a year ago, a month ago, or even a day ago. You are here to create yourself, continuously
–– Richard Feynman
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Editoriale
I numeri di aprile di Maximum PC e MacLife sono attualmente in vendita nelle edicole americana, ammesso che ci siano ancora delle edicole americane dove comprarli. Si tratta degli ultimi numeri stampati di queste due venerabili riviste di informatica, che risalgono entrambe al 1996 (ed erano originariamente conosciute, rispettivamente, come Boot e MacAddict). A partire dalle prossime edizioni (opens new window), entrambe le pubblicazioni saranno disponibili solo in formato digitale. Ma non sto scrivendo queste righe perché le versioni su carta di Maximum PC e MacLife non esistono più. Lo scrivo perché erano le ultime due riviste di informatica statunitensi rimaste in vita fino ad oggi. Con il loro abbandono della versione stampata, l'era delle riviste di informatica negli Usa è ufficialmente finita. Quanto manca, dalle nostre parti? Penso poco, e non solo per la stampa specializzata in tecnologia: ecco ad esempio un modo perfettamente legale per leggere gratuitamente quotidiani e riviste in formato digitale (opens new window).
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Importante
Durante la pandemia, in fase di rallentamento dei lockdown, negli Usa era venuto fuori il fenomeno di quelli che, stando a casa, si facevano il secondo e il terzo lavoro a tempo pieno (da noi è vietato nel pubblico ma anche nel privato, negli Usa no) grazie al telelavoro. Adesso lo stesso fenomeno viene denunciato per l'impatto delle intelligenze artificiali. Solo che li chiamano esplicitamente "truffatori" che' sfruttano ChatGPT per assumere ancora più lavori a tempo pieno: "ChatGPT fa tipo l'80% del mio lavoro", ha dichiarato a Vice (opens new window) uno. Un altro sta tenendo botta con quattro lavori eseguiti da robot smart: "Cinque sarebbero eccessivi", ha detto.
Runa Sandvik ha fatto della protezione dei giornalisti dai cyberattacchi il lavoro della sua vita. I regimi autoritari la tengono impegnata, scrive Maddie Crowell nel suo lungo e interessante articolo per la Columbia Journalism Review (opens new window). Interessante.
Il signor Palmen ha iniziato a collezionare auto circa 40 anni fa, con una Lancia B20 gialla come prima auto. Nel corso degli anni la sua collezione è cresciuta notevolmente. La varietà è più che eclettica. Il signor Palmen aveva un gusto raffinato e una vasta conoscenza di auto rare e speciali, visto che prima di iniziare a collezionare si occupava professionalmente di auto simili dalla metà degli anni '60. La collezione era conservata in una chiesa ovviamente sconsacrata e in due magazzini asciutti ma polverosi. Il signor Palmen avviava regolarmente le auto per evitare che i motori si bloccassero. La maggior parte della collezione è in condizioni originali e non restaurate. Il signor Palmen manteneva le auto come erano quando entravano nei suoi magazzini e non vendeva quasi nulla dopo che era stato aggiunto alla sua collezione. Raramente mostrava la collezione a qualcuno, quindi pochissime persone sapevano della sua esistenza. La manutenzione era per lo più effettuata da lui stesso. Si può sicuramente definire una delle collezioni di auto segrete meglio conservate d'Europa (opens new window). Il signor Palmen amava le auto italiane come Alfa Romeo, Lancia, Maserati e Ferrari. Inoltre, le Facel Vega francesi e le BMW, le Mercedes e le NSU tedesche. Gli inglesi sono ben rappresentati con Jaguar, Aston Martin e Rolls-Royce, mentre i classici americani includono Chevrolet, Cadillac e Ford. La collezione comprende anche Tatra, Monica, Moretti, Matra, Alvis, Imperia e Villard. In totale ci sono più di 230 auto riunite nel magazzino principale. A causa dell'età del signor Palmen e di varie circostanze, la collezione sarà venduta (opens new window). Ci auguriamo che i nuovi proprietari le abbiano a cuore come le ha avute lui. È improbabile che qualcuno possa rivedere una collezione di questo calibro e in queste condizioni.
Sto cominciando a pensare che i grandi rovelli nella pancia dell'artista, che sono poi il carburante di un certo modo romantico ed esistenzialista d'intendere la produzione dell'arte, si siano trasformati, perlomeno nelle arti meccaniche come la fotografia e non solo per i dilettanti, in altrettanti rovelli sull'attrezzatura (opens new window). Che non so se è una parodia o un modo rispettabile di pensare l'arte.
Yamato
Ori-gami (折り紙) La parola di questa settimana per il nostro dizionario tematico di giapponese è conosciuta ovunque e persino praticata: ori-gami (折り紙)
Con questa parola si intende l'arte di piegare la carta (折り紙 ori-gami, da oru piegare e kami, carta) e, sostantivato, l'oggetto che ne deriva, cioè l'origami. Il termine è di origine giapponese, ma esistono tradizioni della piegatura della carta anche in Cina (Zhe Zhi 折纸), tra gli Arabi e in Occidente.
Il presupposto tecnico è che esista la carta, ma poi non serve altro. Gli origami sono una pratica molto interessante per il risveglio della creatività e come tale sono stati pensati e usati in parti diverse del mondo. In Giappone, come vedremo tra un attimo, gli origami hanno una forte connessione con la cultura e la spiritualità, e sono spesso associati alla meditazione e alla ricerca della perfezione. Tuttavia, dato che gli origami si possono creare solo piegando e modellando la carta, senza l'uso di forbici, colla o altri attrezzi, sono considerati un'arte senza confini culturali perché accessibile a tutti, senza un background particolare, facile da imparare e importante come attività formativa. Sono squisitamente umani e moderni in quanto simbolo della capacità prettamente umana di essere abili e creativi: vi ricordate l'unicorno origami di Blade Runner, il simbolo dell'identità e della capacità di libero arbitrio dell'uomo rispetto al determinismo delle macchine? Beh, il tema approfondito da Ridley Scott era quello dell'intelligenza umana contrapposta a quella artificiale dei replicanti: chi è davvero vivo? chi no ed è programmato per morire? (Per i più precisini: il romanzo di Philip K. Dick da cui è tratto il film si concentra prevalentemente sul tema della percezione della realtà).
Creare oggetti tridimensionali attraverso la piegatura della carta richiede concentrazione, pazienza e destrezza manuale. Imparare a fare gli origami può quindi essere un modo per sviluppare queste abilità, oltre ad essere una forma di creatività e di espressione artistica. Ma in realtà gli origami vengono usati anche in ambiti operativi o di ricerca, come l'architettura, la medicina, gli ambiti tecnologici, per creare modelli e prototipi di oggetti e strutture.
In Giappone esistono sostanzialmente due tipi di origami: quelli ricreativi e quelli cerimoniali, chiamati origata. La pratica è conosciuta dal periodo Edo (1603-1867) e permette di creare una serie di forme codificate enorme, nonostante le limitazioni delle piegature ottenibili con un foglio di carta. Non sono nati per motivi squisitamente estetici o di intrattenimento: gli origami erano inizialmente utilizzati per le cerimonie religiose, come la creazione di offerte sacre e talismani. Venivano utilizzati anche come strumento educativo, per insegnare la matematica e la geometria. E poi, certo, erano anche utilizzati come forma di intrattenimento e passatempo, ma solo un po'.
La gru di carta, tsuru in giapponese, ha una storia particolare: è diventato un simbolo di pace e speranza, grazie alla storia di Sadako Sasaki, una bambina di Hiroshima colpita dalla bomba atomica e che tentò di piegare 1000 gru di carta per esprimere il suo desiderio di pace. Quando gli americani fecero cadere la bomba sulla città aveva due anni, a undici le venne diagnosticata la leucemia e allora decise di piegare le gru di carta, convinta dalla leggenda che piegare mille gru avrebbe esaudito il suo desiderio di guarigione. Nonostante il suo coraggio e la sua determinazione, Sadako morì il 25 ottobre 1955, dopo aver piegato 644 gru di carta. Nel Parco della Pace di Hiroshima c'è la sua statua: su un piedistallo di granito alto un paio di metri Sadako tiene in mano una gru di carta. Se passate di là, andate a salutarla e magari piegate anche voi una gru di carta, ma per la pace.
Italiana
Aldo Fontanarosa su Repubblica (opens new window) ne fa un caso ma Leonard Berberi sul Corriere (opens new window) spiega che invece non c'è niente di strano. È il caso del regolamento per i piloti e il personale di cabina sul modo di vestirsi e comportarsi. Qui invece il Post (opens new window) traduce spiega perché i voli degli aerei di linea stanno diventando più turbolenti.
Ho letto un po' di tutto, dagli insulti alle critiche circostanziate agli sfottò, ma essendo nel pieno della tempesta social e mediatica, si trova molto, molto di più (ma l'appello a farne un'altra dal basso (opens new window) di Luciano Floridi è interessante). In buona sostanza con Italia Open to Meraviglia hanno proprio fatto un bel pasticcio pubblicitario (opens new window). Non hanno creato l'account twitter (opens new window), altri hanno comprato il dominio specifico (opens new window), in generale Italia. Open to Meraviglia (opens new window) non è piaciuta a nessuno. Peccato.
Un breve articolo-saggio che racconta L'Italia del Simulmondo (opens new window), la storia di Francesco Carlà e delle sue attività nell'ambito dell'intrattenimento videoludico a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta: è stata una parte dell'Italian Style prima della rivoluzione dei giochi a 32 bit.
È uscito uno studio degli Osservatori del Politecnico che fa il punto della situazione (commerciale) del metaverso. Non è buona (opens new window): su 445 progetti a livello internazionale con sperimentazioni in particolare nel Retail (37%) e nell’Entertainment (27%) la maggior parte non sono interoperabili. Cioè non permettono di passare da un mondo all'altro: delle monadi digitali.
Multimedia
Un po' di Friends, che fa sempre bene: The One that Goes Behind the Scenes (opens new window)
Da qualche parte vendono ancora la colonna sonora (opens new window) (ovviamente su vinile) di Another World (opens new window), un videogioco storico, sviluppato nel 1991 per Amiga (opens new window) (ma poi portato ovunque, io l'avevo giocato sul mio Macintosh) e davvero carino. La musica (elettronica a 8-bit, ovviamente) è di Jean-François Freitas, mentre il gioco è l'opera struggente di un solitario genio, Éric Chahi, che ci ha messo tre anni ma ha portato a casa il capolavoro.
Un po' di Billie Eilish (con Dave Grohl) al Kia Forum di Los Angeles, che fa sempre bene: My Hero (opens new window)
Tsundoku
Tre letture videoludiche: cominciamo con questo fantastico I’m Too Young To Die: The Ultimate Guide to First-Person Shooters 1992–2002 (opens new window) curato da Stuart Maine che parte con Wolfenstein 3D di Id Software e finisce in minore con gli shooters di inizio millennio. Tiene fuori altri mondi e altre definizioni, che forse verranno trattate più avanti.
Libro pensoso per studiosi o per amanti curiosi dell'intrattenimento videoludico: Gaming. Saggi sulla cultura algoritmica (opens new window) di Alexander R. Galloway che inizia a pensare i videogame come a una specifica costruzione culturale, che richiede nuovi strumenti interpretativi. Riferendosi a numerosi ambiti di studio, in particolare alla teoria critica e ai media studies, affronta i videogame non come dei testi, ma come dei processi, degli algoritmi da attraversare. In cinque brevi capitoli riflette su come la "cultura algoritmica", dovuta anche ai videogame, si intrecci con i concetti di visione, realismo e allegoria. Se le fotografie sono immagini e i film sono immagini in movimento, allora i videogame vanno definiti come azioni.
Terzo libro sui videogiochi, Player vs. Monster: The Making and Breaking of Video Game Monstrosity (opens new window) di Jaroslav Švelch che scrive con sapienza dell'arte di creare cose mostruose. Fin dagli albori dei videogiochi, infatti, i mostri hanno svolto un ruolo centrale come pericoli da evitare, boss di livello da sconfiggere o obiettivi da distruggere per ottenere punti extra. Ma perché la figura del mostro è così importante nel gioco e in che modo i videogiochi hanno plasmato il concetto di mostruosità nella nostra cultura? Le risposte le trovate qui.
Coffee break
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Al-Khwarizmi
Avrete notato che vi risparmio tonnellate di cose sulle intelligenze artificiali, tipo "puoi fare questo, puoi fare quello". Andate su Twitter e leggetene a volontà. Qui segnalo altri tipi di cose, ad esempio che la Cina ha ordinato che qualsiasi servizio di intelligenza artificiale "aperto" venga prima validato ufficialmente (opens new window). Non è niente di eccezionale, si tratta di censura preventiva, ma pone interessanti problemi con l'intelligenza artificiale.
Due ambiti in cui l'intelligenza artificiale sta facendo cose più interessanti che non rispondere a caso a qualsiasi domanda: da un lato il funzionamento di macchine ibride che possano contenere la nostra mente e farla funzionare senza il nostro corpo richiedono sistemi digitali altamente specializzati che solo una intelligenza artificiale può far funzionare in quella che è stata chiamata Mind+Machine Singularity (opens new window), dall'altro le AI stanno aiutando gli storici ad analizzare e capire meglio il passato (opens new window).
Brutte notizie per chi usa le app sugli smartphone. Le PWA (Progressive Web Apps) sono normalmente accessibili attraverso un browser web, ma possono anche essere installate sulla schermata iniziale dell'utente. Una delle sfide delle PWA, tuttavia, è la loro distribuzione negli app store. È qui che entra in gioco PWABuilder (opens new window). PWABuilder è uno strumento che consente agli sviluppatori di creare pacchetti che possono essere inviati a vari app store. Il problema è che le app non sono native e quindi non sfruttano le caratteristiche dell'ambiente dove vengono attivate, ma sono sostanzialmente contenute all'interno di una macchina virtuale. Questo genera sia incoerenze dal punto di vista dell'esperienza utente che inefficienze nell'uso delle risorse di sistema. Però costa meno farle.
Per non perdere la mano (e per dare una speranza a chi ancora non c'è riuscito) ecco un corso ben fatto e molto facile per usare Vim (opens new window). Sul serio, mi piace molto, anche graficamente (che non vuol dire niente, certo, però anche l'occhio vuole la sua parte). Soprattutto, dice una cosa molto vera: "Il problema dell'apprendimento di Vim non è che sia difficile da fare, ma che bisogna continuare a farlo".
Sono tornato a usare Mail su Mac (mollando sostanzialmente Gmail nel browser). Ci sono alcune ruvidità, non tutte dipendenti dal software di Apple (ad esempio, il forward di Gmail che funziona solo un po', accidenti a loro). Una cosa insopportabile di Mail, però, è che se metti un link nel corpo di un messaggio che stai scrivendo lo trasforma in una anteprima. Questo è modo per evitare che succeda (opens new window).
La coda lunga
Lo scrittore Kurt Vonnegut vuole uscire a comprare una busta per mandare una lettera. La moglie gli dice: "Non sei povero. Perché non vai su internet a comprare un centinaio di buste e le metti nell'armadio?" La sua risposta: "E allora faccio finta di non sentirla. Esco a prendere una busta perché mi diverto un mondo a comprare una busta. Incontro molte persone. E vedo dei bambini bellissimi. E passa un'autopompa. E gli faccio il pollice in su. E chiedo a una donna che tipo di cane è quello. E non lo so. La morale della storia è che siamo qui sulla Terra per scoreggiare. E, ovviamente, i computer ci faranno fuori. E quello che i computer non capiscono, o non gli interessa, è che siamo animali danzanti. Ci piace muoverci. Ed è come se non dovessimo più ballare".
I link non hanno alcuna affiliazione, puntano orgogliosamente solo all'oggetto culturale citato. Un giorno riuscirò a renderli non tracciati.
“A man must love a thing very much if he practices it without any hope of fame or money, but even practice it without any hope of doing it well. Such a man must love the toils of the work more than any other man can love the rewards of it”
– G.K. Chesterton
END
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