[Mostly Weekly ~175]
Shinzo Abe, caos aerei e logistica, e kidults
A cura di Antonio Dini
Numero 175 ~ 10 luglio 2022
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Bisogna investire in linee, non in punti. Un articolo interessante (opens new window) sulla ricerca di modelli di comportamento piuttosto che di campionature puntuali, soprattutto se stiamo per investire nella cosa analizzata.
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Intanto, buona lettura.
Growth for the sake of growth is the ideology of the cancer cell
–– Edward Abbey
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Editoriale
Con l'assassinio di Shinzo Abe durante un comizio elettorale di fronte alla stazione ferroviaria di Nara, muore uno dei volti internazionali più noti (opens new window) della politica giapponese. Soprattutto, il Giappone riscopre l'orrore dell'omicidio politico, della violenza insensata, dell'odio gratuito. È difficile per una società moderna dare un senso a un gesto come l'assassinio dell'ex Primo Ministro giapponese, uno dei politici più longevi di quel Paese. Non so come stiano elaborando questa situazione in Giappone. Da noi ci ha provato molto bene Radio Radicale con questa trasmissione (opens new window). Quel che è successo, oltre che una tragedia, è da un lato l'impensabile, dall'altro qualcosa di conosciuto e purtroppo già visto molto volte.
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Importante
Il trasporto aereo sta sprofondando nel caos non solo da noi. Alcune ragioni vengono spiegate in questo lungo articolo dell'Atlantic (opens new window). È la versione originale di molto di quello che avete letto in Italia nell'ultima decina di giorni.
Negli Usa c'è un problema di ritardi negli approvvigionamenti da un lato ma c'è anche un problema di sovraccarico degli stock dall'altro. Così molte catene si stanno organizzando per non riprendere i resi: cioè, li rimborsano ma lasciano poi l'oggetto agli acquirenti (opens new window). Interessante.
Il termine "kidult", portmanteau tra "kid" e "adult", eterno adolescente diremmo noi, è stato coniato negli Usa negli anni Cinquanta per identificare una tipologia di consumatori che oggi, a quanto pare, sta crescendo alla grande (opens new window).
L'FBI dice che le persone si candidano a un lavoro usando dei "deepfake". Abbiamo già sentito di persone che assumono altre persone per svolgere il loro lavoro in una specie di "subappalto" illegale, ma ora altra gente sta usando l'intelligenza artificiale per ottenere il vero e proprio posto di lavoro (opens new window). La tecnica specifica utilizzata consiste nell'applicare una skin durante un colloquio video per assomigliare a qualcun altro e nell'utilizzare un software di spoofing della voce per ottenere un suono diverso. In pratica, l'amico bravo sostiene il colloquio a distanza come se fosse te. Alcuni sono stati scoperti perché il movimento della bocca dell'avatar non corrispondeva al suono. Per adesso è piuttosto facile da scoprire, ma diventerà molto più difficile nel giro di un anno o due. Le applicazioni più o meno illegali possono essere infinite.
Lo youtuber Marques Brownlee, meglio conosciuto come MKBHD, è diventato una vera e propria stella dello schermo. Cioè, l'intervista sull'Hollywood Reporter (opens new window) segna simbolicamente proprio il riconoscimento di questo stato da parte dell'industria per gli youtuber. Segnatevelo sul diario.
C'è una cosa che mi ha colpito e che riguarda anche per me che ne ho recensita una (opens new window): chi compra le Tesla non ha idea di come sia fatto il loro motore elettrico. Non se ne parla e non se ne scrive, un po' per ragioni di marketing (Tesla non spinge su quell'aspetto) e un po' perché l'elettricità è difficile. Perché, mentre un po' di gente ha chiara quale sia la differenza tra i diversi tipi di motori termici (diesel e benzina, ma anche turbo, aspirato, boxer, V12 e via dicendo), di quelli elettrici non sa niente nessuno e tantomeno ne parla. Quindi, ecco invece una buona spiegazione (opens new window) del motore IPMsynRM delle Tesla (Model 3, Y) e di quali siano le differenze rispetto ai tradizionali motori elettrici a induzione.
Yamato
Kuchisabishii (口寂しい)
La parola di questa settimana per il nostro dizionario tematico di giapponese è in realtà una locuzione kuchisabishii (口寂しい), letteralmente "bocca solitaria" cioè "(mangiare qualcosa perché) la bocca è sola". Questa espressione secondo me fa la pari con tsundoku (積ん読), di cui abbiamo già parlato, che vuol dire "acquistare libri senza leggerli" (e alla quale ho dedicato una rubrica qui su Mostly Weekly e anche un programma alla radio) e serve tantissimo perché coglie un sentimento, un moto dell'animo, una tendenza psicologica che non ha un equivalente in italiano se non nella pubblicità dei Sofficini Findus con Carletto De Camaleontis (strana creatura, a cui ha dato voce il doppiatore Luca Dal Fabbro) che chiedeva in maniera surreale ma ficcante: "Ma tu, non hai fame?".
Ecco, quel "Ma tu, non hai fame?" lunare e spiazzante è la cosa che più si avvicina al sentimento espresso in prima battuta da kuchisabishii: la sottolineatura del fatto che mangiamo spuntini e porcherie varie anche quando non abbiamo fame. Il comfort food è la cosa che placa il moto dell'animo che si manifesta sia a causa della noia che dello stress e della tensione. I giapponesi, nonostante abbiamo una stazza fisica che lo stereotipo vuole sia alquanto contenuta, sono in realtà mangioni. Lo dimostra la vastità della gamma di snack presenti nei konbini (コンビニ): dalle barrette Kit Kat in centinaia di gusti, alle Pringles offerte in varietà come pollo fritto e calamari, e l'elenco può andare avanti a lungo. Quindi, non c'è da stupirsi che una parola come kuchisabishii venga usata così spesso. Le occasioni, per così dire, non mancano. Poi, le porzioni di questi spuntini sono mignon, certo. Ma la bocca non si sente più sola. A ben guardare, però, c'è di più.
Mangiare per noia capita a tutti, chi più e chi meno, ma kuchisabishii significa anche modellare questa attività come un sentimento naturale e un'esperienza di perdono verso se stessi, piuttosto che respingere quei sentimenti. Perché una volta che lo riconosciamo e lo affrontiamo, finiamo per prendere decisioni migliori a posteriori piuttosto che esacerbare comportamenti auto-sabotanti sugli impulsi innescati dal senso di colpa. Certo, se la soluzione fosse così semplice, mangiare sano non sarebbe un problema, ma esercitare la forza di volontà e costringersi a non mangiare raramente funziona. Invece di soddisfare le nostre voglie, alimenta il nostro senso di colpa quando finiamo per "rompere", facendo scattare una sorta di mentalità del tutto o niente: ci diciamo che abbiamo commesso un errore critico, e così ci vergogniamo di peggiorare il problema. Intanto, quando cediamo, mangiamo di più. Qui entra in gioco l'idea che avere una parola, kuchisabishii, per descrivere un moto dell'animo equivalga a "sentirsi visti", permetta di riconoscere, capire e andare avanti. Ma cosa vuol dire quella parola, in realtà? Qual è il suo significato implicito, più profondo?
La "bocca solitaria" è la bocca che vuole essere calmata dal cibo, da una sigaretta, dal ciuccio come succedaneo del capezzolo della mamma. È la bocca che rappresenta la fase orale della psiche di chi la usa, ma è probabilmente la bocca di una persona confusa, che è stata allattata (al seno o con il ciuccio) per essere calmata e per essere distratta, per essere intrattenuta, per essere fatta addormentare e per essere nutrita. È la bocca di una persona che ha cercato di esprimere i suoi bisogni e i suoi desideri, le sue paure e i suoi dolori ma anche le sue rabbie e i suoi rancori, con l'unica leva comunicativa a disposizione dei neonati, cioè il pianto e le grida. È, tuttavia, la bocca di una persona che ha (quasi) sempre ricevuto la stessa risposta: qualcosa da ciucciare e succhiare.
Non stupisca allora che, quando nel profondo più torbido della psiche di quella persona si agitano grandi creature emotive come giganteschi pesci-balena che nuotano nelle profondità del mare, cioè si muovono le ombre dei bisogni che è difficile descrivere lucidamente ma che occupano uno spazio enorme nella psiche di tutti, la risposta di quella persona sia automaticamente quella che da bambino ha imparato essere giusta per trovare conforto e pace: riempire la sua kuchisabishii, la sua bocca solitaria, come faceva la creatura psico-mitologica della sua infanzia, cioè sua madre, quando piangeva disperato in preda a un'angoscia che non ha imparato a dividere e distinguere proprio perché risolta dalla madre sempre nello stesso modo.
Non male per un popolo che non ha mai avuto niente di neanche lontanamente paragonabile a Freud o a Jung, no?
Eventuali
Eileen Jones (opens new window) oltre che insegnare scrive molto di critica cinematografica, adesso soprattutto per il magazine americano Jacobin (opens new window). Il nostro Internazionale ha appena tradotto la sua stroncatura per Top Gun Maverick (opens new window) dove l'autrice riesce a fare contemporaneamente critica politica e critica sociale. Soprattutto, odia gli anni Cinquanta e gli Ottanta. A me Maverick era piaciuto (opens new window) e considero una forma di maturità acquisita quella di riconoscere che un'americanata pazzesca in versione remake rappresenti qualcosa di apprezzabile. Ma, mentre io nel mio piccolo cerco di capire come Tom Cruise stia ridefinendo l'identità dell'attore-produttore esecutivo (il nuovo, vero auteur al posto della coppia regista-sceneggiatore) al tempo degli effetti speciali, lei indaga sul rigurgito di remake a partire da Star Wars, Blade Runner, Dune, Batman, Ghostbusters, Mad Max e via citando. Stiamo vedendo due cose molto diverse che coesistono in questo momento nel tempo e nello spazio.
Intanto, ho anche visto Thor: Love and Thunder (opens new window) ed è un film tracotante, da dimenticare. Peccato. Comunque, qui il giudizio è già più unanime (opens new window).
FreeBlockbuster (opens new window) è come l'idea del book crossing, solo fatto con i DVD (e i VHS, se è per questo) riutilizzando i distributori abbandonati per l'acquisto dei giornali (quelli che negli Usa sono nelle strade della città: si mette la moneta e si prende il giornale) e rimarchiati con la sigla "Free Blockbuster". È un'idea tutta nordamericana e molto "east coast", però ingenuamente carina.
Quella parte della storia di Emilia Clarke, (Game of Thrones) che non conoscevo: due aneurismi ma ce l'ha fatta. Lo ha raccontato un po' di tempo fa, prima della pandemia, sul New Yorker (opens new window).
Italiana
C'è baruffa nel mondo musicale. I Porcupine Tree hanno fatto un disco nuovo e subito c'è la polemica promozionale (opens new window): «Il rock non ha saputo reinventarsi. I Maneskin? Sono terribili, una copia scadente del passato». Il Corriere prontamente cerca di cavalcarla (opens new window): "Perché i Måneskin non fanno male al rock (come dicono i Porcupine Tree)". L'onore della Patria è salvo.
La gente di mezza età compra i Levi's. Anzi no (opens new window), l'azienda negli Usa si è affrancata da questo "stigma" (i cinquantenni... Brrr...) e riparte. Il piano per screditare i cinquantenni (i falsi giovani che rubano il futuro a quelli veri) (opens new window) va avanti a spron battuto. Ma non temete: entro trenta o quarant'anni ce ne saremo liberati, almeno della stragrande maggioranza.
A quanto pare dopo solo venti anni le Ferrovie dello Stato (o come diavolo fanno finta di chiamarsi adesso) hanno completato i lavori (opens new window) con la Sip (o come diavolo fa finta di chiamarsi adesso) per dare la connessione ai telefonini nelle gallerie tra Milano e Bologna. Che praticamente non ci sono. I lavori alla rete cellulare tra Bologna e Firenze (che è praticamente tutta in galleria) inizieranno l'anno prossimo. Il benessere ricade copioso sulle famiglie di chi si becca quegli appalti.
Multimedia
Un lato molto crudele degli Stati Uniti è quello che riguarda i nativi. Ma non ci sono solo i nativi d'America. Ascoltate il discorso in questo primo tweet (opens new window) (thread tutto da leggere, peraltro) e vedrete passare davanti una storia d'incanto: la colonizzazione delle Hawaii e la "normalizzazione" della loro cultura e industria.
In Nadia's Songs (opens new window), il regista canadese Nick White riflette sulla musica che lo ha definito quando era un adolescente in una piccola città dell'Ontario. Avendo acquistato la maggior parte della sua musica in un negozio di seconda mano, White ha scoperto che molti dei CD che amava, compresi gli album dei Blur e dei Beastie Boys, erano appartenuti in precedenza a una ragazza di nome Nadia. Ha iniziato a cercare tutti i CD usati di Nadia, sia per trovare nuove canzoni che per cercare di ricostruire la storia della ragazza. Con una colonna sonora alternative rock anni Novanta, il breve documentario di White si interroga sul significato che questi CD, diventati parte integrante della sua vita, potevano avere per Nadia prima che li vendesse. White racconta una storia minimalista su come la musica che condividiamo plasmi la nostra identità e, per quanto breve, questo video è anche un viaggio nostalgico per chi è cresciuto con la musica alt rock degli anni Novanta (cioè, non io). Nadia, alla fine, non sappiamo chi sia.
The Monster in Our Closet (opens new window) è il cortometraggio realizzato da Patagonia per cercare di aumentare l'impatto nel settore dell'abbigliamento, uno dei più inquinanti in assoluto. I protagonisti del film, però, sono semplicemente insopportabili. Visto che un film è uno strumento di comunicazione retorica, non un lavoro di ricerca scientifica, era meglio cercare di farlo meno snob. I contenuti però sono "tremendi" e assolutamente meritevoli di essere ascoltati. Inoltre, il lavoro attivo di Patagonia in questo ambito (la seconda metà del video) è notevole. Però che snobismo!
Parlando di questi "film aziendali a scopo filantropico", che sono un vero e proprio genere a se stante, merita una menzione anche questo lavoro (opens new window) con uno speleologo italiano fatto da Rolex. Speleologo nel mondo Rolex vuol dire Explorer II, l'orologio che ti dice se è mattina o pomeriggio anche quando sei sottoterra (o a uno dei Poli). Utile, vero?
Parlando invece di pubblicità che non vengono bene, ce n'è una dal vivo con un motore da motoscafo per un orologio della Timex fatto alla fine degli anni Cinquanta dal mitico (per la tivù americana) John Cameron Swayze. All'epoca Swayze ne aveva fatte parecchi in diretta tv, con prove tra le più improbabili. Quella del motore di motoscafo non gli è venuta bene (opens new window), ma l'uomo aveva decisamente notevoli capacità di recupero (che figura di palta, però).
Se qualcuno ve lo chiede, questo è il futuro degli impianti hi-fi (opens new window), raccontato da Darko Audio, il più importante youtuber del settore e l'altra persona (oltre a me) convinta che la musica in streaming in qualità CD sia tutto quello di cui abbiamo bisogno.
Tsundoku
Talking Prices (opens new window), il libro di Oval Velthuis, ha come sottotitolo Symbolic Meanings of Prices on the Market for Contemporary Art. È un libro fantastico perché, parlando di mercato dell'arte contemporanea, in realtà parla dell'economia e del commercio. Il sociologo olandese affronta il tema di come si fa a mettere un prezzo all'arte contemporanea, ma in realtà parla di venture capital, di valore percepito, di costruzione di relazioni, di capitale sociale e come ottimizzare le dimensioni di un investimento. Di come segnalare al mercato le proprie intenzioni in maniera tale da avere un ritorno sul proprio investimento. È un classico libro di sociologia, perché affronta relazione e ritualità, ma al tempo stesso definisce un modello economico molto più universale di quel che non sembri. Affascinante.
Invece, all'opposto di Jared Diamonds (ricordate? (opens new window)) c'è questa interessante serie di saggi intitolata La rivoluzione militare (opens new window) in cui ci si chiede come mai all'incirca nel XVI secolo gli europei siano diventati, in modo piuttosto improvviso, molto più bravi di chiunque altro a fare la guerra, e lo siano rimasti per diversi secoli. Quali erano le tecniche e le tecnologie (no, non le armi, l'acciaio o i germi) e quali erano i fattori amministrativi, culturali, economici e gestionali che hanno fatto funzionare queste idee e le hanno rese così difficili da copiare.
Chi l'ha detto che gli scrittori di una volta non erano moderni nel senso economico del termine? Al paradiso delle signore (opens new window) di Émile Zola è un romanzo d'affari che è bello sia come storia di business che come romanzo. Nella Parigi della metà del XIX secolo Octave Mouret trasforma un piccolo negozio in un grande magazzino con la sua sola forza di volontà, sfruttando le nuove tecnologie e la crescita della classe media, e nel farlo diventa il pioniere dei prezzi fissi, degli sconti, dei cataloghi, del merchandising, dei prodotti a perdere e dei resi gratuiti (una – parole sue – "innovazione diabolica"). Nel frattempo, i vecchi negozianti del quartiere agitano i pugni e dicono cose come "Hai visto? Vende cappelli e guanti allo stesso tempo! Non ha orgoglio!". L'unico romanzo in circolazione con una discussione di tre pagine sulla chiusura per inventario. Una fantastica allegoria per ripensare la storia di quel tizio che vuole monopolizzare le vendite online e le consegne in tutto il mondo.
Coffee break
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Al-Khwarizmi
Mentre l'avidità sta rendendo irrilevanti (opens new window) i risultati delle ricerche su Google (opens new window), la stessa avidità sta rendendo sempre meno rilevanti le ricerche su Amazon (opens new window).
Da bambino le prime "macchine per giocare a scacchi", cioè i primi programmi e i primi computer-scacchiera dedicati, erano una specie di prodigio della natura. Qualcosa di mai visto prima: la macchina che ti batte a scacchi. Adesso, sono un passaggio banale per apprendere lo sviluppo del software: Motori scacchistici: Da zero a uno (opens new window). Cioè una guida su come costruire un motore scacchistico da zero.
Piano piano, un pezzettino alla volta, sistemi intelligenti come DALL-E 2 stanno sostituendo il talento dell'artista con l'immaginazione di chi non ha la capacità di creare personalmente le immagini a cui pensa. Vedere questo set di icone (opens new window) mi fa pensare a un romanzo di cinquecento pagine in cui l'autore pensa la trama e il computer la sviluppa. Poi c'è anche chi ci fa i fumetti (opens new window).
Due effetti collaterali positivi del crash delle criptovalute sono che adesso si trovano GPU a prezzi di listino (opens new window) e che l'inquinamento generato dalle blockchain delle crypto è crollato (opens new window).
Perché internet non può dirci cosa leggere, guardare e mangiare? Perché siamo complicati. Internet è una macchina di raccomandazioni costanti, ma ha bisogno di noi per funzionare (opens new window). Un po' di riflessioni.
Una modesta proposta
Perché non misuriamo il nostro nuovo, culturalmente inedito talento? Gli scienziati hanno infatti trovato il modo di misurare una capacità percettiva chiamata "O", cioè la capacità generale di riconoscere gli oggetti (opens new window). La cosa interessante di questo tipo di articoli (e ricerca) è che apre sia la via alla riflessione su cosa sono le qualità innate di una persona (se esistono, se c'è distinzione tra generi e via dicendo) sia a quanto sia arbitraria e culturalmente connotata la classificazione delle forme di intelligenza (tipo IQ e cose del genere). Intanto, quanto è buona la vostra O? Perché non la misurate?
I link non hanno alcuna affiliazione, puntano orgogliosamente solo all'oggetto culturale citato. Un giorno riuscirò a renderli non tracciati.
“A man must love a thing very much if he practices it without any hope of fame or money, but even practice it without any hope of doing it well. Such a man must love the toils of the work more than any other man can love the rewards of it”
– G.K. Chesterton
END
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