[Mostly Weekly ~138]

42, complessità, concentrazione e MacBook Pro


A cura di Antonio Dini
Numero 138 ~ 24 ottobre 2021

‌Non so se qualcuno ve l'ha detto, ma sono passati 42 anni (opens new window) da quando la Guida galattica per autostoppisti ci ha spiegato che "42" è la risposta alla domanda definitiva sulla vita, l'universo e tutto quanto.

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Intanto, buona lettura.


Perhaps one did not want to be loved so much as to be understood
– George Orwell



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Editoriale

Be surgeon, my friend
Il multitasking non fa bene, anzi fa proprio male. Il cervello non funziona così e l'eccesso di stimoli e distrazioni ha come risultato finale quello di portare (se va bene) al burnout. Come si fa, allora? Ci si concentra di più su un solo task alla volta, e lo si fa bene. Ci vuole esercizio e pazienza, ma si può fare molto di più facendo una cosa alla volta (chi va piano va sano e va lontano, diceva la nonna). Prendete i chirurghi o più banalmente i dentisti: non è tanto la mano ferma la loro principale qualità, quando la capacità di essere concentrati per lunghi periodi di tempo su una sola attività. Alle volte anche per parecchie ore. Qui è spiegato tutto (opens new window). In qualche modo ricorda l'idea di Bird by Bird (opens new window).

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Pensieri
Pensieri ~ Foto © Antonio Dini

Speciale "complessità"

Complessità
Sarebbe un ottimo argomento per un libro ma non saprei come andare oltre alla pars destruens. Comunque, il tema della complessità (e quello del fallimento) è diventato una vera ossessione per me. In generale, ne trovo tracce da tutte le parti. Questo esempio di questa azienda (KoolDev (opens new window)) che cerca di semplificare complessificando tutto all'ennesima potenza è perfetto per capire cosa vuol dire quest'altro vecchio (del 2005) ma fondamentale articolo: Why I Hate Frameworks (opens new window).

Complessità II
Rimanendo sul sito (statico) di Fredrik Holmqvist (opens new window) vorrei semplicemente citare questo ragionamento (opens new window): "È sempre facile aggiungere complessità, è molto più difficile rimuoverla". Il suggerimento è: "Iniziate con semplicità. Rendete complesso quando necessario. Per questo amo i siti web statici".

Dependency
Il problema della complessità nel software sta anche nelle dipendenze, come spiega bene questa vignetta di xkcd (opens new window). La mano invisibile non sta facendo bene.

Importante

Riders of the storm
Gli Stati Uniti stanno finendo le riserve di acqua sotterranea (opens new window), che sono state accumulate decine di migliaia di anni fa in processi lunghissimi. È lo sfruttamento senza limiti, che sta portando a disastri superficiali (le falde svuotate collassano e creano voragini e altro) e viene accelerato dal riscaldamento globale e dalla crescente siccità. È una bomba che sta esplodendo per adesso al rallentatore, ma quando prenderà velocità diventerà micidiale (opens new window) in pochissimo tempo.

Speciale "lavorare"

Quitting
Negli Usa siamo già alcuni passi avanti rispetto a quel che succede da noi o forse eravamo avanti noi vent'anni fa: infatti, siamo già tornati al mito del manager che molla il lavoro a Milano e apre un chiringuito sul lungomare adriatico o un agriturismo in Toscana. Lo spiegano bene con questo video editoriale del NYTimes (opens new window) tutto da vedere. Anche perché (parlo per noi giornalisti) un editoriale fatto in questo modo è il sogno bagnato dei nostri dirigenti e direttori dei quotidiani, solo che poi da noi lo facciamo come Totò con gli sfondi di cartone e uno stagista per la produzione, pagando 50 euro lordi al collaboratore di turno.

Multilavoratori
Quindi, la narrazione principale è quella secondo la quale un sacco di gente dopo la pandemia sta mollando il suo posto di lavoro, addirittura che c'è una epidemia di baby pensionati. Nelle società occidentali più competitive è, insomma, comparsa l'idea che vivere per lavorare non sia una buona idea (opens new window). L'idea è arrivata persino da noi (opens new window) (pensa te che incoscienti siamo). Attenzione perché questo è un tema interessante per i suoi significati impliciti: stiamo entrando una fase di laicizzazione della società per cui l'eticità religiosa del lavoro e l'avidità istituzionale non sono più una cosa buona? L'idea di faticare per far vivere bene i propri figli è tramontata sull'altare di una nuova ondata di narcisismo stile Baby boomers? Oppure la società tecnologica prospetta un altro tipo di "abbondanza" e redistribuzione della ricchezza (reddito di cittadinanza) che dovrebbe farci chiedere come potrebbe essere un mondo stile Star Trek dove si lavora solo se si vuole e per motivi etici? A quanto pare, però, c'è di più. Un po' di tempo fa aveva fatto un po' di rumore un articolo (opens new window) in cui si scopriva che durante la pandemia c'era chi aveva preso due lavori a tempo pieno e li portava avanti in parallelo (doppio stipendio!) perché tanto lavorava da casa. Beh, a quanto pare la realtà è ancora più complessa e la poligamia lavorativa (opens new window) non è una cosa così assurda dopotutto. Certo, se mi togliessero di torno tutte le cose inutili da fare e la burocrazia anche statale che ho tra i piedi, ne potrei fare tre di lavori e staccare il giovedì mattina sino al martedì successivo, ma questa è un'altra storia.

Altri lavori
Serve ripensare il posto di lavoro? Ecco la guida per i luoghi di lavoro inclusivi: Better Allies (opens new window). È un libro ma anche una iniziativa multimediale (c'è il podcast e altro) che permette di "imparare a individuare le situazioni in cui si possa creare una cultura più inclusiva, insieme a semplici passi da compiere per farlo". È una guida pratica e quotidiana su come alleati con chi ha bisogno sul posto di lavoro, anche se non si è i responsabili aziendali della "diversità" o della "inclusione". Perché non lo fanno anche da noi?

Onboarding
Alcuni amici cari stanno assumendo nuovi sviluppatori nella loro piccola software house (come si diceva una volta). Sono vent'anni che lavorano e quindi sanno perfettamente cosa fanno, ma mi ha molto incuriosito l'idea che sia un tema di onboarding per i nuovi programmatori. È ingenuità da parte mia, perché il settore è molto meno "rigido" di quello che sembra da fuori e andare a programmare in un'altra azienda vuol dire entrare una dimensione su misura fatta di logiche, metodi e procedure completamente diversi dagli altri (sort of). Quindi ho cercato di capire come si fa e ho trovato questa "guida definitiva per l'onboarding di nuovi sviluppatori (opens new window)": best practice del settore e come pianificare i primi 90 giorni. La guida illustra come integrare in modo efficace i nuovi assunti. Secondo gli autori, un processo di onboarding ben pianificato può aumentare notevolmente la fidelizzazione a lungo termine e aumentare la produttività dei neoassunti. La maggior parte delle organizzazioni non si integra bene nonostante sia una cosa ovviamente molto importante. I programmi di onboarding dovrebbero coprire le attività amministrative di base, avere attività per aiutare i nuovi assunti ad assimilarsi ai loro team e ambienti di lavoro e aiutare il nuovo assunto a diventare produttivo e contribuire al team. Alcune di queste procedure e concetti dovrebbero essere utilizzati anche per le altre tipologie di lavori, secondo me.


Yamato

Ikigai (生き甲斐)
Il termine di questa settimana per il nostro dizionario ragionato di giapponese è ikigai (生き甲斐) (la ragione per cui vivere). Il termine è un composto: iki (生き) che significa "vivo" e kai (甲斐) che significa "frutto", "risultato" di qualcosa. Insieme costituiscono quel concetto in realtà non solo giapponese che indica quel qualcosa che dà a una persona la sensazione di avere uno scopo, una ragione per vivere: il motivo per cui ogni mattina ci si alza dal letto. Capirete che è un termine dal significato piuttosto ampio, che sconfina ben oltre i margini di una concezione culturalmente connotata della vita per acquisire una valenza universale (o poco meno). L'ikigai, hanno detto degli studiosi della società giapponese, è ad esempio una delle ragioni di quella certa longevità che caratterizza soprattutto chi vive nelle isole meridionali dell'arcipelago: gli abitanti di Okinawa sono longevi perché non hanno voglia di andare in pensione, sentono che il lavoro dà scopo alla loro vita e si tengono attivi vivendo di conseguenza più a lungo. Il concetto di ikigai è antico ma il termine è relativamente nuovo: è stata la psicologa e accademica giapponese Mieko Kamiya (12 gennaio 1914 - 22 ottobre 1979, una donna con una vita straordinaria) a coniarlo nel suo libro del 1966 "Ikigai ni tsuite" (生きがいについて), letteralmente "il significato della vita". Il lavoro della ricercatrice è rilevante anche perché mostra come il concetto sia evoluto con il passare del tempo. Fino al dopoguerra era riferito all'attitudine di subordinare i propri desideri a quelli degli altri e della società in generale: era ikigai trovare il proprio posto all'interno dell'azienda per cui si lavora e della propria famiglia. Oggi invece è diventato ikigai sognare come una persona potrebbe diventare in futuro. La cosa più intrigante però è che spesso si fraintende l'ikigai per uno stato mentre sarebbe più corretto immaginarlo come un flusso, un lavoro in corso che non si esaurirà mai. Dopotutto, la ragione stessa per cui si vive come potrebbe essere qualcosa di statico e inamovibile? La vita è cambiamento continuo e per questo dovrebbe essere una scoperta senza fine.


Torsolo di mela

Le cose vecchie di Apple
Ci credereste che ieri era il ventesimo anniversario della presentazione dell'iPod? Ne ho scritto diffusamente su Macity (opens new window) ma ripeto un paio di concetti anche qui. Oggi quasi non ce lo ricordiamo più, ma iPod non è stato solo strumentale alla ripartenza dell'azienda: è stata una rivoluzione che ha cambiato il modo con il quale Apple è percepita e funziona. È stata la base per la creazione di un mondo Post-PC. È stato l'inizio della trasformazione di "Apple Computer Inc." in "Apple Inc.". E della sperimentazione con i processori fatti in casa. Ha fatto la differenza, insomma. E, se non lo sapevate, è ancora in commercio (opens new window).

Le cose nuove di Apple
Questo mese è piuttosto interessante soprattutto per chi utilizza le tecnologie di Apple per lavorare: sono arrivati due costosi e potentissimi MacBook professionali. Le novità sono varie, anche rispetto al modo con il quale sono divergenti rispetto al recente passato (opens new window). Con questi due modelli da 14 e 16 pollici Apple ha abbracciato un miglior mix di forma e funzione, consentendo ai MacBook di diventare leggermente più pesanti e spessi per ospitare batterie più grandi. Era quello che volevano gli utenti professionali e Apple ha ascoltato: è il design dell'epoca post-Ive (opens new window). MacBook Pro "cicciotti" perché, se qualcuno vuole un MacBook più sottile e leggero, può sempre prendersi un Air. Nei nuovi la Touch Bar è andata per sempre (alè) e la tastiera è più strutturata. Ci sono anche i tasti funzione a grandezza naturale per il controllo dell'audio, la luminosità, l'accesso alla ricerca, l'attivazione del "non disturbare" e l'uso della dettatura. Ovviamente, la Touch Bar è stata concepita, in parte, come una soluzione al rifiuto ostinato di Apple di aggiungere il touch screen ai Mac. Forse un giorno Apple aggiungerà questa funzionalità, ma potrebbe danneggiare le vendite di iPad, quindi ha provato a diversificare in quel modo. Non è andata e adesso, cinque anni dopo la sua introduzione, l'hanno tolta. Invece, sono tornate le porte di connessione: lo slot per schede SD e la porta HDMI hanno fatto il loro ritorno ma c'è una cattiva notizia: lo slot SD supporta delle velocità di trasferimento obsolete di 250 megabyte al secondo, circa un terzo degli standard più recenti. La porta HDMI ha un connettore 2.0, non 2.1, il che significa che perde larghezza di banda per migliorare i frame rate video 4K. Queste sono decisioni molto discutibili, ma almeno le porte sono tornate. Quelle superpotenti le vedremo sui computer con M2? Infine, è tornato il MagSafe nella versione "3", e ora non dobbiamo preoccuparci che qualcuno inciampi nel cavo del nostro computer al bar o al lavoro. Infine, nel prossimo futuro dovrebbero arrivare altri computer: Mac Pro, iMac e Mac mini (opens new window). Ma probabilmente dopo Natale.

Storia di due mele
Laserwriter II (opens new window) sta uscendo adesso ed è un romanzo che promette di essere molto interessante. Scritto da Tamara Shopsin, Laserwriter II è un racconto di formazione ambientato nel leggendario negozio indipendente per la riparazione di Mac a New York negli anni '90: il TekServe. Il libro è un viaggio indietro nel tempo a quando Internet era una cosa nuova, quando New York City era grintosa e quando Apple produceva computer fuori dal comune per gente strana. La guida del racconto è Claire, una diciannovenne che parla a malapena con i suoi colleghi bohémien, ma sa quando è il momento di infilare un braccialetto antistatico. Tamara Shopsin è riuscita in un compito non facile: ha scritto un classico romanzo su una New York che non potrebbe sembrare più attuale intrecciando la storia della tecnologia digitale con una storia sia umanamente toccante che deliziosamente tecnica: "Pieno di filosofia pixelata e molte stampanti, LaserWriter II è, nel suo cuore, una parabola su una mela". Quale delle due?


Multimedia

A proposito di New York City: su Netflix c'è tutto Seinfeld (opens new window) di Larry David e Jerry Seinfeld. Dopo Friends (opens new window), è la cosa che mi sto guardando una puntata alla volta: mi fa compagnia a pranzo e mi fa tornare la voglia di andare a NYC. Speriamo presto!

Il disastro del dirigibile Hindenburg, a colori (opens new window) (machine learning a go-go). Tutto da rivedere

Volete una tonnellata di vecchia tv americana: qui gli anni 60 (opens new window), qui i 70 (opens new window), qui gli 80 (opens new window) e qui i 90 (opens new window). Tanta roba davvero. Ah, anche gli anni 2000 (opens new window), perché no?

Ve la ricordate Caterina Valente? Forse l'ho già fatta passare da queste parti qualche tempo fa (anche qualche anno fa). Beh, comunque, qui con Dean Martin (opens new window) che ci regala una bossanova da sogno e qui invece con Mina che fa ancora meglio (opens new window). No, sul serio: la signora italiana nata a Parigi che ha girato il mondo ha novant'anni ed è anche nel Guiness dei primati (opens new window) perché ha inciso 1.500 brani in 12 lingue diverse. E il suo Bongo cha cha cha (opens new window) è diventato virale decenni dopo grazie a un film della Marvel: qui la videoclip (opens new window) originale.

Il disastro del dirigibile Hindenburg, a colori (opens new window) (machine learning a go-go). Tutto da rivedere


Tsundoku

The Man from the Future (opens new window) di Ananyo Bhattacharya è la biografia di John von Neumann, il matematico e fisico che ha fatto tutto, dalla bomba atomica al computer. È una biografia difficile da scrivere, perché per un biografo (in questo caso una giornalista scientifica) avere le competenze per capire l'importanza di quel che è stato fatto e le sue conseguenze non è banale. Ma è anche utile da leggere, perché fa capire su cosa poggia per buona parte il nostro mondo oggi.

Cose da leggere: When Past is Present (opens new window) di David Richo è uno dei migliori libri in circolazione sull'autoconsapevolezza e sulla guarigione dei traumi del passato. Il dottor Richo spiega come possiamo essere consapevoli quando affrontiamo i momenti di transfert (i sentimenti e le credenze del nostro passato che emergono nelle relazioni presenti) nelle nostre vite. Fidati, questo va oltre i normali libri di auto-aiuto. La presunta mancanza di traumi nelle vostre esistenze è normalmente il miglior indicatore di quanto siano profondamente integrati nella vostra vita, e di quanto abbiate bisogno di lavorarci sopra.

Avete presente Moby Dick? Magari l'avete anche letto. Se non l'avete fatto, dovreste, perché il romanzo di Herman Melville è uno dei più importanti al mondo. Beh, quando è stato pubblicato, nel 1851, non fu capito proprio all'instante, come mostrano le recensioni sui giornali britannici e americani dell'epoca (opens new window).

Ormai è uscito da un po' di tempo ma The Day the World Stops Shopping (opens new window) si pone una domanda fondamentale: è possibile che il consumismo a un certo punto finisca, non ci sia più? Qualsiasi libro che ragioni sul bisogno di riconsiderare le nostre abitudini di consumo attira la mia attenzione. L'autore di questo libro, J.B. MacKinnon, “indaga sull'impatto che avrebbe sul pianeta, sulla nostra società e su noi stessi provare a vivere con meno. Nel farlo, rivela anche cosa ci guadagneremmo. Un investimento nel nostro benessere fisico ed emotivo. Il piacere di prenderci cura dei nostri beni. Relazioni più strette con il nostro mondo naturale e gli uni con gli altri”.

Coffee break
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Al-Khwarizmi

L'internet dei padroni di casa ci sta trasformando tutti in inquilini
Mi piace molto l'analogia usata in questo saggio (opens new window): le piattaforme digitali sono i nuovi padroni di casa e gli utenti sono i nuovi inquilini, costantemente alla mercé di chi possiede e controlla sempre più cose intorno a noi. Le grandi piattaforme, i quadri tecnologici, i contenitori. L'utopia della rete come strumento orizzontale, reticolare, democratico, si è trasformata in uno spazio medioevale di feudi e feudatari. “Tutto questo solleva la questione di chi ha veramente delle proprietà nella nostra economia? Chi rivendica la parte del leone del valore generato dal lavoro produttivo e catturato dalle infrastrutture essenziali? Sempre più spesso, la risposta non sono le persone, ma le piattaforme. Non gli utenti, ma i proprietari”. Difficilmente ho trovato un modo più ficcante di questo saggio per definire il disagio di fondo che mi spinto, tra le altre cose, a uscire da Facebook e poi a fare in modo che le cose che scrivo siano Mostly Here, perlopiù "qui", cioè nel mio sito. Posso condividerle (come faccio con questa newsletter), posso twittarle di qua e di là o scriverle in post che alimentano i contenitori altrui, ma alla fine voglio che siano nel mio sito, costruito in maniera tale da essere facilmente esportabile dalla piattaforma sulla quale è attualmente ingegnerizzato (VuePress su Netlify tramite GitHub) a qualsiasi altra cosa, anche al mio Raspberry Pi. Perché? Beh, è roba mia, che ho scritto io, no? Ecco perché. E voi?

Dire Straits
Chrome (ed Edge) sono browser marci. E le estensioni di terze parti ancora di più. Usarli in modo sistematico vuol dire mettersi nei guai da soli. Infatti le estensioni di Chrome possono essere sfruttate in molti modi, come si può vedere dalle numerose estensioni piene di malware che si sono diffuse nell'ultimo anno. Fino a 3 milioni di dispositivi sono stati infettati da malware identificato nelle estensioni di Chrome ed Edge nel dicembre 2020. Chrome aggiorna le estensioni non appena superano la revisione automatica, quindi qualsiasi estensione può improvvisamente diventare un Trojan. Gli sviluppatori di estensioni vengono contattati dalle aziende per vendere le loro estensioni o per inserire il codice nelle loro estensioni per il pagamento. Esempi di queste richieste sono disponibili nell'articolo (opens new window) che poi è stato tolto da internet (ma non da Internet Archive, oh yeah).

Come fumo negli occhi
Ogni volta che ne parlano, che mostrano l'entusiasmo della speculazione, la ricchezza che si fa "entrando e investendo" e tutto il resto, è come se mi mandassero fumo negli occhi: mi fanno quasi arrabbiare. Condivido molte delle opinioni espresse in questo articolo del New York Times (opens new window): i Bitcoin sono una bolla, una speculazione, "tecnicamente uno schema Ponzi". Questo, da creatura moralista e moralisticheggiante quale spesso mi ritrovo ad essere, mi basta per non voler entrarci. Un investimento il cui scopo è fregare il prossimo non è un investimento, è una forma di immoralità. Paul Singer, il fondatore della società di investimento da 48 miliardi di dollari Elliott Management, viene citato nell'articolo perché ritiene che le criptovalute siano una frode, ma apparentemente è stanco di lamentarsene. «Strapparsi i capelli è un'opzione, anche se solo se hai capelli da vendere», ha scritto nella sua lettera agli investitori il 77enne Singer (che peraltro è calvo). «Continuiamo ad andare avanti per il giorno in cui potremo dire: 'Te l'avevamo detto'».

Search Atlas
La capacità valutativa della nostra mente è legata a degli schemi che ci tradiscono quotidianamente quando a essere messo in discussione è il contesto. È la tesi di fondo del Cigno Nero, il libro di Nassim Nicholas Taleb, ma è anche quello che viene fuori guardando Search Atlas (opens new window): la ricerca accademica costruita come un metamotore di ricerca mostra le differenze tra i risultati di Google in tutto il mondo. Ed è tanta roba (opens new window). Search Atlas (opens new window) è uno strumento che mostra l'aspetto dei risultati di Google in tutto il mondo. Invece di restituire un set di risultati, Search Atlas restituisce tre colonne di risultati selezionati tra le oltre 100 versioni geograficamente localizzate del motore di ricerca. I risultati mostrano come Internet sia vissuto in modo diverso in altri paesi. Search Atlas mira a sfatare il mito che i motori di ricerca siano arbitri neutrali delle informazioni. I diversi risultati possono essere dovuti a tentativi di localizzazione delle informazioni: il motivo della distorsione non è sempre il risultato della soppressione delle informazioni, ma l'effetto è simile.

Snappy
Con la nuova Ubuntu 21.10 arrivano un po' di novità di vario genere (nuovo kernel etc) un po' meno conservative delle volte precedenti. Ma soprattutto arriva la gestione a pacchetti con snap anziché deb. E non è male (opens new window).


Scrivere newsletter
Scrivere newsletter ~ Foto © Antonio Dini

Una modesta proposta

Mettere l'utente al centro non è etico.
Cennydd Bowles è una futurista attenta all'etica: qui scrive (opens new window) un ottimo articolo sul perché il nostro approccio al design incentrato sull'utente deve essere ripensato in una chiave diversa: più incentrata sul pianeta e guidata dall'etica. “Il pensiero centrato sull'utente è diventato un modo di pensare quasi analgesico, che ci rende insensibili agli impatti più profondi dell'innovazione, sia positivi che negativi. L'attuale crisi etica nella tecnologia è solo un assaggio di ciò che ci aspetta: potremmo sostenere che oggi il ruolo più importante del design è quello di aiutare gli esseri umani a non prosperare, ma anche solo a sopravvivere al XXI secolo. Quindi è tempo che il design abbandoni la pretesa di neutralità e tutte le sue connotazioni regressive. Dovremmo riconoscere le responsabilità e i poteri che deteniamo e impregnare attivamente il nostro lavoro dei valori che vogliamo vedere nel mondo”. Se non è questa una chiamata alle armi, non so cosa lo sia. Non avvertite il senso di urgenza del nostro tempo? O pensate sia solo marketing?




I link non hanno alcuna affiliazione, puntano orgogliosamente solo all'oggetto culturale citato. Un giorno riuscirò a renderli non tracciati.



“A man must love a thing very much if he practices it without any hope of fame or money, but even practice it without any hope of doing it well. Such a man must love the toils of the work more than any other man can love the rewards of it”

– G.K. Chesterton


END




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