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L’emozione di vedere l’ultimo film di Miyazaki a Tokyo

Com'è stato essere al cinema di Tokyo per assistere alla prima di Kimi-tachi wa dō ikiru ka, "E voi come vivrete?", il nuovo e ultimo film di Hayao Miyazaki


‌(15 luglio 2023)


The Boy and the Heron - Poster
The Boy and the Heron - Poster

Perché andare a vedere un film di Hayao Miyazaki a Tokyo, in giapponese, in un gigantesco multisala IMAX nel centro di Tokyo, zona Ginza?

I motivi sono molti ma forse uno prevale su tutti gli altri: l’emozione. L’emozione di entrare in sala assieme al “pubblico naturale” di Miyazaki, quello cioè con le antenne culturali perfettamente sintonizzate sulla poetica del Maestro. L’emozione di farlo senza riuscire praticamente a leggere il biglietto o a capire le istruzioni e la paura costante di sbagliare qualcosa (con l’imprevisto dovuto al ritardo di 15 minuti sull’entrata, che ha mandato in tilt la gestione degli accessi). L’emozione di vedere l’ultimo film di Miyazaki, questa volta “sul serio”. L’emozione di una grande prima.

Così, un sabato alle 11 di mattina un pezzetto della redazione di Fumettologica si è messo in fila davanti all’entrata del cinema Toho, dopo che per una settimana ha incontrato segni e simboli di Miyazaki a giro per tutta la città. Manifestini in metro e sulla JR, piccoli totem di BlueRay e libri nei negozi, “The Art of” e saggi vari sugli scaffali dei jazz cafe (ho comprato il piccolo fotolibro di Nausicaä ma c’erano praticamente tutti), volantini e segnali vari in altri luoghi.

Il film di Miyazaki, l’ultimo ripeto, è un’opera tarda, con una poetica della maturità, quella di un uomo anziano che torna a guardare con stanchezza la propria vita e ripercorre sognante i temi a lui cari, ma senza quella violenza e intensità che una volta caratterizzava una delle possibili letture dei suoi lavori. Non faccio spoiler, perché non sarebbe giusto né peraltro mi voglio sbilanciare troppo. Però, in due parole, tanta roba.

Per vederlo ho fatto come faccio andando all’opera: ho letto il libretto. Cioè il riassunto piuttosto articolato della storia. E nonostante questo ovviamente i dialoghi, per me che non parlo giapponese, sono scivolati via ignoti. Ma fino a un certo punto. Un po’ per la vicenda, di cui ho seguito bene i passaggi, come dicevo, e un po’ perché il film è di maniera, con molti dei tropi che sono quelli soliti dai tempi di Mononoke Hime e che tornano rassicuranti.

La storia di questo film è lunga: lunga la gestazione, lungo il lavoro di disegno, lungo il lavoro di preparazione. Assente la promozione, che lo Studio Ghibli non ha voluto e infatti il film è arrivato come una sorpresa a ciel sereno.

È stata fortissima l’emozione di vedere Kimi-tachi wa dō ikiru ka (君たちはどう生きるか), cioè “E voi come vivrete?”. Il titolo è quello di una specie di “libro Cuore” giapponese degli anni Trenta, che viene usato da Miyazaki come scusa per raccontare la storia della crescita del giovane protagonista tra una Tokyo bombardata, la campagna misteriosa e un regno ultraterreno e forse alieno. Legami familiari atipici, affetti da costruire e presa di coscienza della propria maturità.

L’emozione è stata forte, dicevo, sia per l’unicità e la potenza del film (il cui titolo in inglese è stato adattato con The Boy and the Heron) sia per averlo visto a Tokyo. La stranezza: un pubblico silenziosissimo, ordinatissimo, di età sostenuta (dai 30 in su), che ha guardato tutto il tempo in silenzio provando (immagino) enormi emozioni interiori ma senza lasciarlo trasparire e che dopo due ore e un quarto si è alzato senza fare commenti, rumore o lasciare sacchetti o sporcizia, abbandonando ordinatamente la sala.

Un’emozione fortissima, simile a quella che ho provato molto tempo fa. Il 6 gennaio 1987 avevo 17 anni e per caso, dopopranzo sulla Rai, ho visto un cartone animato fenomenale, folle, fantastico. Era Nausicaä della Valle del vento, di cui sarebbe poi circolata per anni la copia pirata registrata su VHS.

Rispetto ad allora sono un’altra persona, forse pure affetto dalla stessa crisi di post mezza età di Miyazaki (che però è ben più vecchio di me: lui è della classe 1941) ma ho comunque ritrovato quelle emozioni e quelle sensazioni, quella “voce” mai dimenticata. Un Miyazaki allegorico, metafisico, simbolico, ricco di preziosismi e citazioni sotto il velo dell’apparente semplicità, eppure sempre essenziale e lirico al tempo stesso. Sono contento di averlo visto, vi suggerisco fortemente di fare altrettanto (magari in italiano, quando sarà distribuito).